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CLEMENTINO «Per vedere la luce ho dovuto vedere il buio stando in un brutto tunnel»

Dalla depressione al primo posto in classifica con “Miracolo!“, il suo nuovo lavoro uscito per Universal. E’ una bella storia, quella di Clementino, che nelle sue canzoni da sempre alterna l’uso sia del dialetto napoletano sia della lingua italiana, senza mai prendersi troppo sul serio e senza mai voler trasmettere un’immagine diversa da quello che intimamente è: «Credo che la mia forza sia da sempre quella di portare Clemente dentro Clementino».

Come si sta al primo posto in classifica?

«Bene, bene. Considerando che non sono mai stato al primo posto, direi bene, una bella esperienza. Il mio vecchio album arrivò secondo, ora mi sono ritrovato al vertice e dietro di me dei nomi davvero grossi del panorama italiano come Ligabue e Jovanotti, insomma, un onore e una bellissima cosa».

Te lo aspettavi?

«No, assolutamente no. Nelle settimane scorse sentivo che nell’aria c’era qualcosa attorno alla mia musica, una sorta di attesa positiva, ma l’idea di poter arrivare al primo posto in classifica onestamente non c’era proprio. Ha stupito anche me la notizia».

Cos’è che porta un album in vetta alla classifica? Insomma, cos’è che conquista della tua musica?

«Ho sempre cercato di portare la musica napoletana a un altro livello, non un livello superiore, ma un livello completamente diverso. Noi avevamo il napoletan power fino agli Anni Ottanta ed è durato parecchio, poi c’è stato un buco, con lo spazio che è stato occupato dalla musica neomelodica e ora finalmente l’hip hop napoletano sta avendo le sue soddisfazioni. E non è solo merito mio, intendiamoci, ma è anche merito di tantissimi rapper del Sud. Siamo davanti a una sorta di new napoletan power, proprio come diceva Pino Daniele, che è stato anche il primo in assoluto a definire il nostro genere, quello delle nuove generazioni, hip hop new napoletan power, anche perché siamo riusciti a fondere la musica vecchia con quella nuova».

Hai citato Pino Daniele. Che rapporto avevi con lui?

«Pino è stato generosissimo di consigli e avevo con lui un rapporto speciale: ci conoscevamo da 3 anni ma era come se ci fosse tra noi un legame lungo una vita, una cosa difficile da spiegare a parole. Lui mi chiamava benevolmente “Disgraziato”, giusto per farti capire il grado di confidenza che avevamo».

Hai ricordi particolari?

«Tantissimi. Una volta entrai nel suo camerino e lo trovai a suonare con la sua chitarra “‘O vient”, la mia canzone, e io faticai a credere ai miei occhi. Rimasi a bocca aperta, fu un’emozione fortissima. Ricordo anche che, anni fa, gli regalai una caffettiera che quando usciva il caffé intonava “…Oje vita, oje vita mia”. Una roba assurda. Però tra i tanti aneddoti, mi vengono in mente sempre i suoi consigli su come andare avanti, su come portare la mia musica nelle radio italiane. Purtroppo se n’è andato, ma credo che la mia canzone assieme a lui, ovvero “Da che parte stai?”, sia l’orgoglio della mia vita».

Se non sbaglio hai anche un tatuaggio in suo onore, vero?

«Sì, ho il suo volto sulla mia schiena. Ho sentito il bisogno di fare questa cosa».

Non sono i rapper a essere diventati mainstream, ma è stato il pubblico: ora già alle elementari ascoltano hip hop e soprattutto vogliono hip hop. E’ stato un cambiamento radicale

Tu sei nato ad Avellino ma è Napoli la tua città. Che rapporto hai con il capoluogo campano?

«Io sono napoletano a tutti gli effetti. Napoli è bellissima ma è anche una carta sporca come diceva Pino. Napoli ce l’hai nel sangue, nel dna. Io sono fiero di rappresentare Napoli, e di essere uno dei tanti rappresentati della musica napoletana. E’ una città difficile, però se ci vivi poi ti abitui alle sue logiche imperfette. Napoli ha i pro e i contro. Io sto molto bene a casa mia, però per ovvi motivi lavorativi ora sto spesso a Milano, che è un po’ la capitale della musica in Italia, ma tornare a Napoli non è mai un fastidio per me, è sempre una festa. Ed è bello vedere le facce felici dei miei compaesani che mi fermano e mi dicono “…uè, Clementino, stai spaccando tutto”».

Tu sei un mago del freestyle. Ma cos’è il freestyle? Talento? Improvvisazione? Allenamento?

«Io credo che sia un po’ la stessa cosa che fa un calciatore coi palleggi. E’ una cosa che non puoi spiegare. Che puoi allenare, per carità, ma che non puoi spiegare fino in fondo. Ora non faccio più gare di freestyle, ma ti posso assicurare che ne ho fatte tantissime e hanno rappresentato un continuo allenamento mentale. Ora mi capita di fare freestyle durante i concerti, non faccio più sfide, ma conservo dei ricordi bellissimi, e consiglio a tutti di lavorare sul freestyle, perché aiuta a tenere la mente sciolta».

Quanto è cambiato il rap italiano in questi anni?

«Non sono i rapper a essere diventati mainstream, ma è stato il pubblico: ora già alle elementari ascoltano hip hop e soprattutto vogliono hip hop. E’ stato un cambiamento radicale».

Un cambiamento che ha portato il rap anche nei Talent e a Sanremo. Ti sei mai immaginato sul palco del Teatro Ariston?

«L’anno scorso ho fatto richiesta, non sono stato preso e pazienza così. L’anno prossimo, dovesse esserci l’opportunità, magari un pensiero lo farò ancora».

Non ti spaventa andare su un palco così legato alla tradizione italiana? Non hai paura della reazione di alcuni tuoi fans?

«No, non mi spaventa, e sai perché? Perché credo che un rapper possa andare ovunque, in qualsiasi trasmissione su Rai 1, Rai 2 o Canale 5, ovunque, a patto che proponga della musica buona. Ecco, per me è questa la cosa importante: non dove vai, ma cosa porti di tuo all’attenzione del pubblico. Ovvio, se uno va in tv con un pezzo fine a se stesso soltanto perché deve vendere o perché deve fare per forza la canzone dell’estate, allora è un discorso, ma se invece porti una canzone intelligente, che magari parla di attualità, puoi andare anche a Sanremo, che male c’è? Una bella canzone rimane sempre una bella canzone, in qualunque contesto».

Lontano dalle luci, quanta distanza c’è tra Clemente e Clementino?

«Nessuna, credo che la mia forza sia quella di portare sempre Clemente dentro Clementino. Io mi circondo da sempre degli amici che conoscono Clemente, e non solo Clementino. Insomma, io sono sempre il solito casinaro, resto sempre quello che a casa mia, a Natale, fa casino a tavola quando siamo in venti e anche quando sono sul palco resto sempre me stesso».

C’è mai stato, in questi anni, un momento che ti ha portato vicino a chiudere con l’hip hop?

«Sì, quando sono caduto in un brutto tunnel e non volevo più saperne della musica. Ero depresso, ma come dice la mia canzone “Strade Superstar”: “…dedicat ‘e frat mij ca stann semp cchiù vicin nde mument re difficoltà, so asciut ‘a sta malatia ca ma mannat mmiezz ‘a vij, m’agg scetat e mo ciamma salvà”. Io sono caduto davvero in un bruttissimo tunnel, ma ne sono uscito grazie all’amore della mia famiglia, grazie all’amore di mio padre, grazie all’amore di mio zio, e dei miei veri amici che mi hanno salvato. Per vedere la luce ho dovuto vedere il buio».

Vorrei chiudere con una cosa leggera. E’ vero che sogni di fare le radiocronache del Napoli?

«Mi piacerebbe per divertimento essere ospite di qualche telecronista perché mi piace seguire il Napoli. Ho una bella parlantina, quindi mi piacerebbe fare l’esperienza di telecronista. Ma ho anche un altro sogno».

Quale?

«Oltre all’ambizione di fare altri 20 dischi, altri 40 album hip hop, il mio grande sogno sarebbe recitare. Ho studiato un po’ di teatro e un po’ di recitazione e spero un giorno di avere l’opportunità di partecipare a qualche film, magari con registi che stimo, come il grande Paolo Sorrentino oppure il grande Matteo Garrone. Sarebbe un onore».

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