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DAVIDE SHORTY «La musica, quella vera, sta nei locali, ai concerti, alle jam, non in televisione»

Nel giro di poche settimane sono usciti due dischi che ti vedono protagonista. Una scelta curiosa. Cosa ti ha impedito di diluire le pubblicazioni?

retrospective love random activities heart«Eh sì, è stata una pazzia, ma la musica invecchia, soprattutto per chi la compone. L’album dei Retrospective for Love aspettava di uscire da tanto tempo, siamo stati costretti a posporre la pubblicazione varie volte, ma dopo aver trovato un equilibrio con Wormfood Records non ce la sentivamo di aspettare ancora, era il momento di tirarlo fuori».

Quali sono i punti di contatto e le differenze di “Straniero” e “Random Activities of a heart”?

davide shorty straniero«Sono due album completamente diversi l’uno dall’altro, ma ci sono sicuramente dei punti di contatto. Tante influenze simili, a partire dal soul, dal jazz e dall’hip hop, ma tutte queste componenti sono utilizzate in maniera diversa. Se “Straniero” è un disco da solista, RFL è un progetto collettivo che ha dato spazio ad ogni componente di esprimersi per come voleva (anche in “Straniero” è successo probabilmente, ma in misura minore). Le atmosfere sono diverse, si parla sempre d’amore ma con altre sfumature. In entrambi i dischi abbiamo voluto sperimentare, ma le gestazioni sono state diverse. “Straniero” è stato partorito in poco più di un mese, mentre “Random activities of a heart” in quasi un anno. C’è una differenza di melodie, e chiaramente nel suono della lingua. Se all’inizio paradossalmente credevo di trovarmi meglio a cantare in inglese, pian piano sto ritrovando la mia identità nella mia lingua madre».

I Retrospective for Love sono nati a Londra. L’ispirazione, ancora oggi, può arrivare da una città e dalla sua atmosfera, oppure Internet e l’accesso facile a tutti i suoni del pianeta ci hanno reso cittadini del mondo?

«Internet ci ha sicuramente connessi in maniera molto forte, ha assottigliato le distanze e le informazioni sono accessibili a tutti, ma allo stesso tempo è facile darlo per scontato. Personalmente credo molto di più nelle collaborazioni in cui ci si può guardare in faccia. La musica ha molto di fisico, quando si suona insieme devi guardare in faccia i musicisti per poter capire dove si sta andando. Londra e la sua multiculturalità ti educano ad abbracciare la diversità come un dono, piuttosto che averne paura, e credo che questo sia stato alla base della crescita non soltanto come musicisti ma soprattutto come esseri umani».

Da una tua recente intervista: “Non nascondo che subito dopo la fine dello show c’è stato un contraccolpo pesante. Il mio ego mi era sfuggito un po’ di mano, con conseguenze reali sui rapporti che avevo con le persone”. Il riferimento è chiaramente alla tua partecipazione alla nona edizione di “X-Factor”. 

«Gestire tutta quell’ansia e quella pressione è dura, assolutamente. “X-Factor” mi ha dato l’opportunità di farmi conoscere, ma la televisione ti mette addosso una patina che non ha niente a che vedere con l’arte. Sono stato fortunato ad aver condiviso quest’esperienza con bellissime persone, aver trovato degli amici, ma bisogna partire dal presupposto che “X-Factor” è solo un canale per poter trasmettere la musica, per poter entrare nel cuore delle persone, sempre se si ha la fortuna di poter essere se stessi, fortuna che personalmente ho avuto grazie ad Elio».

Tu consiglieresti a un emergente l’esperienza del Talent?

«Io non sono nessuno per poter consigliarlo o meno, ognuno deve scegliere in base alle proprie esigenze, bisogna saper giocare, ma non perdere la propria identità. David Bowie diceva che è rischiosissimo cambiare e trasformarsi per il compiacimento altrui, può farti uscire completamente fuori di testa. In fin dei conti credo che prima di pensare di poter essere lanciati al top dell’industria musicale bisogna fare gavetta, capire veramente il perché si fa la musica, e dove si vuole arrivare, dopo scegliere a mente lucida. La musica, quella vera, sta nei locali, ai concerti, alle jam, non in televisione».

Hai avuto modo di incontrare tantissimi artisti nel tuo cammino. Chi ti ha dato il consiglio o l’insegnamento migliore?

«Sono stato molto fortunato nell’incontrare Tormento, Elio, Daniele Silvestri, Niccolò Fabi, ma anche tantissimi altri amici. Non credo ci sia un insegnamento migliore. Tutti loro sono l’esempio di come fare musica sia un bisogno d’espressione, non di compiacimento degli altri. Tutti loro in un modo o in un altro mi hanno consigliato di fare ordine, perché da musicista la disciplina è fondamentale. Posso affermare con certezza che la vita da rock star non fa per me! Io voglio solo fare bene il mio lavoro e magari essere d’ispirazione per qualcun altro. Ognuno di noi dovrebbe sentire la responsabilità di portare un messaggio di rilievo visto il potere della musica, ma bisogna anche non prendersi troppo sul serio, trovare il giusto equilibrio per star bene con se stessi e con la propria arte».

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