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DIMARTINO «Quando scrivo canzoni troppo personali me le tengo nel cassetto»

“Sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile”. Per il titolo del suo ultimo album ha scelto un aforisma, vive nel mito di Luigi Tenco e Lucio Dalla. Ultimo dettaglio: la band in cui canta porta il suo cognome: «Potete chiamarci “Dimartino” oppure “I Dimartino”, non è un problema». E ancora: «Se fai musica d’autore, in Italia, non puoi prescindere da certi personaggi e da certi luoghi. Io i cantautori li ho scoperti tardi e con ascolti veloci, ma tutt’oggi li guardo con ammirazione».

Anche il calcio è una tua passione, vero?

«Io tifo Palermo quando le cose vanno bene, mentre quando le cose vanno male, mi considero un non-tifoso».

Comodo così…

«In realtà non è opportunismo, ma semplice autoprotezione dal dolore della delusione. Mi distacco per evitare di stare ancora più male».

Anche nelle canzoni usi questa tattica?

«Quando scrivo i miei brani cerco di parlare in maniera impersonale di situazioni alla portata di tutti. Nelle mie canzoni c’è qualcosa di me, ma non molto: quando scrivo canzoni troppo personali me le tengo nel cassetto. Mi risulta più facile parlare di situazioni diverse in maniera distaccata».

Che cosa ti ispira?

«Scrivo per immagini: mi piace mettere assieme elementi lontani e diversi fra di loro. Magari partire da una foto o da sequenze filmiche e lasciare che le cose prendano poi forma».

Il tuo stile è molto malinconico…

«Diciamo che a Dimartino, il mio alter ego artistico, le cose non vanno sempre benissimo».

E ad Antonio, cioè a te?

«Vanno un po’ meglio, soprattutto a livello sentimentale».

Per il titolo del tuo ultimo disco hai scelto un aforisma. Perché?

«Per complicare la vita ai potenziali acquirenti. Battute a parte, alla fine ho pensato che fosse il modo migliore per sintetizzare l’idea dietro all’album. La frase non si riferisce essenzialmente a due persone che si amano, ma “Sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile” riguarda anche azioni che a volte facciamo senza rendercene conto».

Facci un esempio…

«Ad esempio lo studio di una materia. Quante volte ci è capitato di impuntarci su delle pagine, poi di abbandonarle per disperazione e infine riprenderle e capire tutto al volo? Il distacco può essere utilissimo nella vita, non è solo sinonimo di sconfitta. Andrebbe rivalutato».

E cosa centra tutto questo col tuo disco?

«Col titolo volevo lanciare un velato suggerimento all’acquirente: “…se ti piace continua ad ascoltare il disco, altrimenti lascialo lì un po’ di tempo e poi riprendilo, e vedrai che molte cose ti saranno più chiare”».

Credi possa funzionare davvero?

«Guarda, a me è capitato tempo fa: era da un po’ che non ascoltavo più il mio disco, l’ho rimesso su e l’ho trovato davvero bello. Forse dovrei obbligare tutti ad ascoltarlo in questo modo: lo prendi, lo scarti, lo lasci scorrere due o tre volte, lo riponi e lo riprendi dopo sei mesi per riascoltarlo un paio di volte. E così all’infinito: per piacere – sorride – o punizione».

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