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GIANMARIA TESTA De Andrè, la Francia e la piccola battaglia quotidiana

Gianmaria Testa non bada alle mezze parole. E forse non ne ha neppure bisogno. Sotto l’aspetto caratteriale, un po’ ricorda De Andrè: «Da adolescente mi fece capire che c’era qualcuno, nel mondo, che cantava non per mostrare al pubblico una bella voce o per vendere dischi, ma perché aveva urgenza di dire, raccontare. De Andrè mi aprì una porta su un mondo fino a quel momento sconosciuto».

Chi ha raccolto la sua eredità?

«Vinicio Capossela usa un linguaggio interessante, ma non esiste un nuovo De Andrè oggi. Ed è normale, perché la storia dell’umanità è fatta di grandi personaggi che arrivano e trasmettono cose a chi arriva e arriverà dopo. Quindi più che cercare il nuovo Fabrizio, guardiamo cosa ci ha lasciato».

Cosa ci ha lasciato?

«Tante emozioni e la voglia di comunicare agli altri attraverso le canzoni».

Oggi si comunica tanto anche attraverso Internet. E’ un buon mezzo per veicolare la musica?

«Internet è un megafono per la pancia, mentre le canzoni nascono più in su. Internet è un non-luogo dove è più facile tirare la pietra e poi nascondere la mano. Però il web esiste e bisogna confrontarsi con esso. Io sono un uomo del ‘900 e vedo Internet come i tizzoni: belli da guardare nel camino ma vanno maneggiati con cura».

Sanremo è uno spettacolo più di costume che di musica. Ogni anno lì, per una settimana, si concentra la pancia del Paese. La canzone non ha molta attinenza con Sanremo

Anche il futuro va maneggiato con cura?

«E’ un momento davvero brutto, in special modo per i giovani. Quando ero ragazzo io, c’era una percezione costruibile del futuro, e la consapevolezza che sarebbe stato migliore del presente. Oggi i giovani sono orfani del futuro e vivono un presente difficoltoso: la precarietà rende il vivere quotidiano pesante».

Ha consigli da dare?

«Non credo esistano ricette vincenti. Ognuno è impegnato in una piccola battaglia quotidiana. E’ una nuova forma di Resistenza».

Forse scappare all’estero potrebbe essere la soluzione giusta. Lei che conosce bene la Francia, cos’hanno i francesi più di noi?

«Nulla. O meglio: hanno più familiarità con la democrazia e lo Stato. Sono una nazione da un sacco di tempo e il concetto di “Repubblica” è ormai nel dna dei francesi, mentre noi siamo una democrazia giovane e uno Stato giovanissimo. Abbiamo ancora un lungo percorso da compiere».

Mai avuto la voglia di vivere in Francia?

«No, io sto a mio agio in Italia».

A febbraio, come tutti gli anni, si ripresenterà la liturgia del Festival di Sanremo. Che ne pensa?

«E’ uno spettacolo più di costume che di musica. Ogni anno lì, per una settimana, si concentra la pancia del Paese. La canzone non ha molta attinenza con Sanremo. Il Festival è più che altro una vetrina, come può esserlo oggi “X-Factor”».

Non ha mai sognato quel palco?

«Non mi ci sono mai immaginato lì sopra e credo che starne lontano dia a me, così come al Festival, una reciproca serenità».

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