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IVAN GRANATINO «Io faccio pop, ma è un pop fatto al mio modo»

Ha un modo di fare musica che è sintesi perfetta di epoche diverse. La tradizione che incontra il lato moderno, attuale, del pop. Ivan Granatino ha sfiorato il palco dell’ultimo Festival, ma ci riproverà: «Sanremo rappresenta l’inizio di una carriera solida, un’opportunità che tutti vorrebbero». Da poco più di un mese è uscito “Ingranaggi“, il suo nuovo album. L’abbiamo intervistato.

La prima cosa che colpisce di “Ingranaggi” è la scaletta extra large. Una scelta in controtendenza rispetto alle produzioni di oggi, molto più asciutte e veloci. Perché questa decisione? 

ivan granatino ingranaggi«Per quanto riguarda le produzioni, in questo progetto ho voluto fortemente farmi questo viaggio nell’elettronica toccando tutte le sue sfumature. Grazie a Massimo D’Ambra sono riuscito ad ottenere quello che cercavo. Ho messo 17 tracce nel disco, vuoi perché il 17 è il mio numero fortunato ma anche per la pubblicazione: anno 17».

Cosa è rimasto fuori dal compact?

«Ho lasciato tante tracce fuori dall’album, ho fatto una selezione ma senza bocciare nessuna creazione perché per me le canzoni che scrivo sono come i figli: le amo tutte nello stesso modo».

Tradizione e modernità. Il tuo disco dice che si può fare del gran pop senza scivolare nel pacchiano. Cos’è per te il pop?

«Pop per me è popolare, sono le canzoni che riescono ad arrivare alla massa, quelle per tutti. Ci sono persone che hanno un forte pregiudizio sul pop, invece io ho un gran rispetto per le persone che riescono a creare questa magia, per esempio chapeau per Rovazzi: tutti lo criticano, ma tutti a divertirsi con la sua musica. Io faccio pop, ma è un pop fatto al mio modo, forse un po’ alternativo, proprio perché si differenzia tantissimo, anche perché spesso comunico in dialetto».

“N’ammore e basta” è il nostro pezzo preferito. 

«Ammazza, sono proprio contento che vi sia arrivata questa traccia, una delle più incomprese rispetto agli altri singoli che ho pubblicato con il video sulla rete».

E’ dedicato a una persona reale oppure è uno sfogo dai contorni più ampi? Com’è nato?

«E’ uno sfogo dai contorni più ampi. Ho voluto raccontare un momento che provano tantissime persone: un ragazzo ricco, innamorato, che fa di tutto per rendere felice la sua amata ma senza rendersi conto che forse la sua donna è alla ricerca di altre emozioni».

Il tema dell’amore si affaccia sovente nelle tue canzoni. E spesso è un amore tormentato. E’ un caso?

Sorride: «No, non è un caso. La gente vuole soffrire, vuole identificarsi nelle canzoni. Se stai male per amore non c’è niente di meglio che ascoltare una canzone che racconta la stessa cosa che ti è successo, ed è un buon momento per sfogare tutta la rabbia e liberarti da quella collera che ti logora ogni attimo della giornata. Solo soffrendo si riesce a sorridere di nuovo».

Da una tua intervista: “…se fai troppi pezzi in italiano qui a Napoli te lo fanno notare”. Mi ha molto colpito questa frase. Sembra quasi che a Napoli non si possa fare musica in italiano. C’è discriminazione verso chi canta solo in italiano?

«No, non c’è discriminazione, ma nel mio caso – che ho iniziato a cantare in dialetto – chi mi segue dal giorno 1 è come si sentisse tradito perché su certi aspetti Napoli è molto campanilista. Napoli ha la sua musica, le sue tradizioni e c’è chi vuole solamente questo. Io ho sempre comunicato anche in italiano perché amo Napoli, le mie radici, ma nello stesso momento mi sento molto italiano, quindi non ho mai voluto perdere l’opportunità di farmi comprendere da tutto il Paese».

Nel tuo modo di cantare c’è la grande tradizione del melodramma partenopeo. Quali artisti napoletani (e non solo) hanno influenzato il tuo stile?

«Sicuramente Pino Daniele, Sergio Bruni, Mario Merola, Vasco Rossi, Jovanotti. Anche se sono più di 15 anni che l’America ha preso il sopravvento su di me ed è per questo che non perdo l’occasione di fare un mix fra tradizione napoletana, musica italiana e sound americano».

Hai sfiorato Sanremo Giovani quest’anno. E’ un tuo sogno quel palco? Ci riproverai?

«Sì, ci riproverò, perché Sanremo rappresenta l’inizio di una carriera solida, un’opportunità che tutti vorrebbero. Quest’anno ci sono andato vicino con la canzone “Chapeau”».

Amarezza per essere stato escluso?

«Sì, porto un po’ di amarezza perché sono convinto che se fossi riuscito a portare questa canzone sul palco dell’Ariston, sarebbe potuta diventare una hit paragonabile ad “Occidentali’s Karma”, perché è un pezzo che senza avere una grande vetrina, solo con i Social, è arrivato a tantissima gente».

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