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RISCHIO «Il nuovo album sta prendendo forma e vi svelo chi ci sarà all'interno»

E’ da tanto che si parla di un suo ritorno sulle scene con un nuovo disco. E forse il 2015 potrebbe essere finalmente l’anno buono. Di sicuro c’è che Rischio (aka Jimmy Spinelli) di materiale pronto ne ha parecchio, e il parterre degli ospiti già ora si annuncia nutrito. Altre certezze? Scopritele leggendo l’intervista a una delle penne migliori del rap italiano.

 

La prima cosa che ti chiedo è sul nuovo disco. Se ne parla da tantissimo tempo. A che punto sei e quando uscirà?

«Spero che se ne parli, io ormai sono stufo – sorride. Ormai è tanto che non faccio uscire qualcosa di nuovo e al giorno d’oggi con il flusso di informazioni continuo della rete è difficile attirare l’attenzione senza un flusso di informazioni interessanti ma altrettanto continuo. Nel frattempo ho quasi chiuso le mie parti, sto aspettando qualche featuring e mi sto guardando intorno per capire come farlo uscire. Sicuramente una serie di Ep/Mixtape prima del disco ufficiale».

A settembre hai annunciato di lavorare su una trentina di pezzi e diversi featuring: chi ci sarà dentro e come sono nate le collaborazioni?

«Principalmente tutte persone di cui stimo il lavoro e alcuni anche cari amici. Per ora fra i certi c’è Tormento che mi ha onorato cantando un ritornello (scritto da me) come nessun’altro avrebbe potuto. C’è Ntò su un pezzo più struggle. Ci sono Clementino ed Ensi su due bei banger. C’è Junior Reid e con lui la cosa è nata per caso: c’erano dei miei amici, gli I-Shence, un sound reggae molto attivo in italia e all’estero che erano in Giamaica per vacanza e una sessione di dubplate anche per altri sound, e io avevo un pezzo sul quale pensavo ad un ritornello ragga. Ho chiesto quali artisti potevano contattare e ci eravamo accordati per Sizzla che però li ha fatti aspettare 3 giorni, il quarto mi hanno proposto Junior Reid che per me è un mito ed è stato disponibilissimo. Poi ho un pezzo in lavorazione con Kaos che spero di portare a termine, abbiamo registrato entrambi ma c’è ancora qualche dubbio sul beat. Poi c’è Jason Royal, un ragazzo delle Seychelles che vive a Milano, una voce incredibile, potrei paragonartelo a The Weekend come stile. Poi credo di aver già detto abbastanza – sorride – mi tengo ancora qualche sorpresa».

Ogni periodo è figlio di quelli precedenti, e mi pare che l’attualità stia dimostrando che gli italiani sono sempre pronti a credere al primo che grida di avere la soluzione

Tu hai visto passare diverse generazioni di rapper in Italia. Che opinione hai di chi in questo momento va per la maggiore, e mi riferisco in particolar modo a Fedez, Club Dogo, Machete Crew, Moreno, Noyz?

«Alcuni sono amici ed apprezzo il loro lavoro e mi pare che nessuno possa dire niente sulla gavetta di gente come i Dogo, Noyz e Salmo aldilà dei gusti di chi sta leggendo. Fedez e Moreno non li conosco personalmente ma musicalmente non mi piacciono, sono figli di questi tempi di social e talent e rispondono più ai bisogni di un pubblico che spesso non ha le basi per apprezzare veramente il rap, che ad una ricerca artistica».

C’è qualcosa di “fresco”, in Italia o anche all’estero, che musicalmente ha attirato la tua attenzione negli ultimi anni?

«In l’Italia sicuramente il livello è cresciuto molto e ci sono molti artisti validi. Tra i più conosciuti e i meno, potrei dirti Achille Lauro come Cali di Unlimited Struggle, in America aldilà di Kanye West che è l’unico in grado di reinventarsi ad ogni album cacciando un nuovo classico, sicuramente c’è stato un po’ di ricambio generazionale interessante, mi piace molto Kendrick Lamar, ma mi piacciono anche molte cose di Drake e J. Cole».

Attualmente, in Italia il rap è una moda oppure credi che artisti e addetti ai lavori abbiano fatto un definitivo salto di qualità utile a costruire qualcosa di duraturo?

«Questo sarà il tempo a dirlo, purtroppo per molti ragazzini che iniziano oggi l’orizzonte del rap è quello italiano o al massimo qualche hit americana del momento e per essere originali, che è alla base dell’hip hop, giusto per scomodare una parola che oggi è fuori moda, non basta avere 4 riferimenti. Forse quelli della mia generazione hanno avuto la fortuna/sfortuna di vivere il periodo in cui in Italia il rap era già passato di moda dopo il primo Neffa di “Aspettando il sole”, e ci siamo appassionati in una maniera diversa, più di ricerca forse. In generale vedo la varietà come una ricchezza perché è la ricerca di originalità che ha portato questa musica a reinventarsi per più di 30 anni».

Il tuo cd “Sogni d’oro” nel 2010 parlava anche di un’Italia incapace di slegarsi da un passato sempre più ambiguo, oggi che tipo di Italia ti viene facile fotografare?

«Ogni periodo è figlio di quelli precedenti, e mi pare che l’attualità stia dimostrando che gli italiani sono sempre pronti a credere al primo che grida di avere la soluzione: i figli dei Vanzina si sono trovati Berlusconi, i figli dei Talent si ritrovano Grillo e Renzi».

Negli ultimi anni hai creato diversi marchi per l’abbigliamento. Questa nuova attività cosa ti ha fatto scoprire?

«In realtà ho un marchio, 5tate of Mind, che ha diverse linee legate alle città: Bolo, Roma, Napl ed Emme-I (Milano) con cui ho iniziato, ed ora anche all’estero con le linee di Ibza, Bar’na (Barcellona), A’dam (Amsterdam) e Kngstn (Kingston). Cosa mi ha fatto scoprire? Ovviamente sono entrato in un mondo lavorativo che non conoscevo e ho dovuto imparare molte cose e molte ne sto ancora imparando. Tutto quello che va dalla progettazione/produzione alla commercializzazione. Per quanto riguarda il marketing ho avuto la fortuna di avere l’appoggio di buona parte della scena rap italiana e questo mi ha dato la spinta per partire. Ma portarlo all’estero mi ha fatto capire che l’idea alla base è giusta, come quest’estate al Rototom dove ho presentato la linea Kngstn e tutti gli artisti giamaicani che ho incontrato e conosciuto si sono subito riconosciuti nel marchio, visto che anche l’abbigliamento è comunicazione, ma senza esagerare».

Io ho sempre cercato di essere coerente in primis con me stesso senza quell’agonismo autocompiaciuto e sfrenato che a volte il rap stimola in alcuni

E’ difficile trovare in ambito hip hop personaggi capaci di guadagnarsi rispetto tanto a Milano quanto a Roma. Perché è così difficile sentir parlare male di te in giro?

«Beh, dovresti chiederlo a Roma e a Milano – sorride – sicuramente il fatto di esserci da un tot e aver visto tutti crescere e il fatto che chi c’era da prima mi riconosce perché ha visto crescere me è importante. Poi io ho sempre cercato di essere coerente in primis con me stesso senza quell’agonismo autocompiaciuto e sfrenato che a volte il rap stimola in alcuni».

Che opinione hai del rap che sbarca nei Talent?

«Secondo me servirebbe più un sociologo che un esperto musicale per parlarne, e io non sono nessuno dei due. Sicuramente a livello di marketing i Talent hanno facilitato il compito delle major che si ritrovano un cantante pronto da vendere con una promo già fatta».

Senza avere l’ambizione di fare sociologia spiccia, “Suerte!” raccontava anni fa la storia di alcune ragazze che si preparavano con entusiasmo per una bella serata di festa e poi chiudevano all’alba piuttosto deluse. C’era un messaggio o una morale dietro il racconto del video?

«Messaggi morali non mi piace darne perché non mi piace giudicare le scelte altrui. A volte penso che spesso crediamo di fare delle scelte ma è solo un’espressione di un noi stessi che non riusciamo a cambiare. Il video rispetto a questo è più positivo anche se spesso le cose che ci soddisfano non sono quelle che ci fanno felici, e magari oggi è facile incontrare persone ma è comunque difficile trovare quelle giuste. In generale diciamo che è un invito alla ricerca».

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