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TRAVA «Non bisogna avere la presunzione di usare la musica sempre e solo con lo scopo di salvare il mondo»

Per Trava, all’anagrafe Alessandro Travaglio, figlio del più noto Marco, l’hip hop non è di certo un passatempo. E’ roba seria, da maneggiare con cura anche quando il messaggio viene veicolato in forma leggera, come nel caso di “Orbita”, il nuovo street-album firmato dal rapper torinese.

“Orbita” è un disco sfrontato, che si guarda bene dal prendere posizione su qualunque tematica di attualità. E’ un disco il cui obiettivo – correggimi se sbaglio – è principalmente intrattenere. Non hai paura che possa essere giudicato un album povero di idee da chi considera il rap la CNN dei poveri?

«Il progetto “Orbita” nasce come uno street-album concepito circa in sei mesi di lavoro ed utilizzando il materiale prodotto nell’ultimo anno. Non abbiamo voluto toccare nessun contenuto particolare perché il progetto si è creato di traccia in traccia, scrivendo “di getto” su ogni produzione. Io lo considero un disco leggero perché non bisogna avere la presunzione di usare la musica sempre e solo con lo scopo di salvare il mondo. Tutto ciò chiude un percorso e ne apre un altro, infatti stiamo già lavorando a nuovi brani».

In che misura la tua quotidianità ispira la tua scrittura. E qual è la quotidianità che hai attorno?

«Per fare musica c’è bisogno di una cosa sola, tutto. La quotidianità che mi circonda è la stessa di un comune ragazzo di vent’anni anni, ovvero la ragazza, gli amici, la famiglia, gli studi ed il bombardamento di notizie che si captano ogni giorno».

A undici anni mio cugino mi passava i dischi di rap italiano di Fabri Fibra e Mondo Marcio. Mi incuriosiva molto il genere ed il fatto che il rapper potesse “parlare” su una strumentale

Hai iniziato a fare rap in piena adolescenza, ancor prima del famoso incontro con Fabri Fibra a casa tua. Come ti sei avvicinato alla cultura hip hop e qual è stata la molla che ti ha fanno iniziare a scrivere?

«Ricordo che a circa undici anni mio cugino mi passava i dischi di rap italiano di Fabri Fibra e Mondo Marcio. Mi incuriosiva molto il genere ed il fatto che il rapper potesse “parlare” su una strumentale. Quattro anni dopo ho iniziato a sviluppare i miei primi testi e a registrarli in giro per gli studi di Torino».

Club Dogo, Tormento, Fibra e tanti altri. Hai avuto modo di frequentare il top italiano del rap. Qual è stato il consiglio migliore ricevuto finora?

«Ho avuto il piacere di incontrarli, purtroppo non di frequentarli. Il consiglio migliore ricevuto è quello di riempire un foglio bianco di pensieri e di farlo per me stesso».

Il rap è un vero e proprio fenomeno in questo momento: lo troviamo in tv, nei talent e persino a Sanremo. Volevo dunque chiederti cosa ne pensi di questa esposizione (o sovraesposizione) mediatica del rap e volevo anche chiederti se quest’anno hai guardato il Festival e se ti sei mai immaginato su quel palco?

«Penso che il rap abbia raggiunto un alto livello di conoscenza tra le persone anche grazie ai programmi televisivi e ai talent. Vedo il talent come mezzo di possibilità per farsi conoscere il più possibile. Sanremo l’ho visto perché sono curioso e l’ho trovato un po’ antistorico, siamo nel 2015».

Ho letto in una tua intervista che per te il rap non è un passatempo ma una cosa seria da fare in maniera professionale. Quali credi che siano le basi giuste per creare un progetto credibile e duraturo? Te lo chiedo perché la concorrenza, oggi più che mai, sembra spietata in questo ambito e uscire dal mazzo è la vera grossa scommessa…

«Credo che la cosa migliore sia cercare di rivoluzionarsi continuamente disco dopo disco, sperimentando molto con tutti i mezzi che hai a disposizione e sfruttandoli al meglio. La scalata è molto lunga, la discesa invece può arrivare velocemente».

Il fatto di aver intrapreso questo determinato percorso nella vita viene continuamente stereotipato, dato che in questo Paese la raccomandazione è all’ordine del giorno

Ovunque ci sia un tuo contenuto, c’è inevitabilmente chi la butta sul personale. Tutto questo è frustrante, è sfiancante alla lunga, oppure hai smesso di badarci?

«Se io decidessi di fare un qualsiasi lavoro, al di fuori dell’ambito musicale, alle persone non importerebbe niente. Il fatto di aver intrapreso questo determinato percorso nella vita viene continuamente stereotipato, dato che in questo Paese la raccomandazione è all’ordine del giorno. Quello che sto facendo lo faccio con i mezzi che ho a disposizione, ovvero quelli di un ragazzo che fa l’ultimo anno di liceo».

Non voglio chiederti nulla di particolare su tuo padre e non voglio alimentare alcun gossip. Voglio però chiederti se in qualche misura senti la naturale pressione di un cognome importante sulle tue spalle.

«Lui fa il suo lavoro nella maniera corretta. La pressione non può che essere positiva quando hai un modello del genere nella tua vita».

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