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ANTONIO CASTRIGNANÒ «La musica tradizionale non è arte di terza scelta»

Nel 2006 ha firmato la colonna sonora di “Nuovomondo”, pellicola di Emanuele Crialese che vedeva Isabella Ragonese e Charlotte Gainsbourg in prima fila. Ma nonostante i clamori del grande schermo, Antonio Castrignanò resta un artista attaccato alle sue radici. “Fomenta” è il suo ultimo lavoro. E’ un disco di tradizione ma aperto all’elettronica. Insomma, non è la solita world music autoreferenziale che può piacere esclusivamente a un pubblico di nicchia. E’ musica di tradizione con i piedi ben fissati nel presente. 

 

La prima domanda che ti faccio è estremamente diretta: perché un ragazzo di Milano o Roma o Torino dovrebbe aver interesse nell’ascoltare un compact incentrato sulla tradizione musicale salentina?

«Beh, intanto la musica è un linguaggio universale, è comunicazione prima di ogni altra cosa. E’ un’esigenza personale sia per chi si esprime sia per chi ne fruisce. Per chi ha sete di conoscere, per chi è spinto dalla curiosità della scoperta ogni “storia vera” vale la pena di essere ascoltata. “Fomenta” è un gomitolo di storie che raccontano la metamorfosi di un piccolo pezzo di terra nel mediterraneo (Salento), e della sua gente che si riappropria di una dignità perduta. È una bella storia, e soprattutto una storia “vera”, appunto».

Una storia che sa di riscatto…

«Noi abbiamo trovato identità e riscatto sociale attraverso la dignità di chi ci ha preceduto e consegnato un patrimonio di tradizione. Oggi un lavoro come “Fomenta” può traghettare e alimentare quell’antica poesia tracciando percorsi in cui le nuove generazioni possono rispecchiarsi».

Cosa ricordo del set di “Nuovomondo”? Tante cose, anche lo sguardo timido e silenzioso di Charlotte Gainsbourg è piacevolmente nei miei ricordi più belli. Poche parole, riservata, quasi fragile, un bell’incontro

Hai lavorato con tanti nomi noti della scena nazionale e internazionale. C’è un episodio particolare o curioso legato a una di queste esperienze? Magari la sorpresa nello scoprire diverso (nel bene o nel male) un artista tra i tanti che hai incontrato?

«Episodi ce ne sono mille, divertenti e meno. Per esempio le bacchette di Stewart Copeland che, come tiro a bersaglio, volano e colpiscono dritto il fonico di palco distratto per tutto il concerto. Le sorprese: la musica e la sensibilità di Einaudi è stata una bella scoperta, per esempio; cosi come quella di Mauro Pagani, l’immensa energia di Copeland, la capacità creativa di Giuliano Sangiorgi. Devo dire che tutte queste virtù sono poi indice di straordinaria umanità e si traducono in esperienze importanti e rapporti che non durano solo un concerto».

L’esperienza del 2006 con la colonna sonora di “Nuovomondo” cosa ti ha lasciato?

«Tantissimo da ogni punto di vista. Lato umano e professionale. Ascoltare esperienze dirette degli emigranti e dei loro figli è stato un regalo prezioso, una ricchezza. Ho iniziato anche a scoprire e credere in me stesso. Certo, essendo stata la prima esperienza artistica da solista in un terreno a me del tutto sconosciuto sicuramente mi ha messo di fronte a grandi difficoltà e dubbi a cui non ero abituato. Osservare Crialese nel suo lavoro, averlo a fianco nel mio, è stato un laboratorio. Contribuire al successo del film con un tema nobile e importante, dopo molto lavoro e sacrifici, è stata una grande soddisfazione».

Nel film erano coinvolte tantissime donne bellissime. Hai avuto modo di frequentare il set? Ricordi qualcosa di particolare magari legato a una delle protagoniste femminili?

«Ho partecipato al set da “attore” per un mese e mezzo a Buenos Aires (dove si girava). Inizialmente ero stato contattato solo per interpretare la scena musicale presente nella pellicola. Riguardo alle donne ricordo l’incontro e il viaggio divertente con Isabella Ragonese, allora una ragazza siciliana amante del teatro, oggi una delle più belle e giovani realtà del cinema italiano. Ci siamo conosciuti nel delirio di Roma Termini per poi raggiungere in aereo cast e troupe già in Argentina. E’ stato divertentissimo il primo contatto al telefono: “Chi sei? Dove sei? Che giacca hai?”. Persone fermate a caso. E poi è stato un viaggio accompagnato dalla goliardia e dalle risate di due ragazzi che fino a poco prima si ignoravano ma si trovavano lì uniti dalla stessa avventura. Eravamo entrambi entusiasti e curiosi di scoprire come sarebbe potuta essere la prima grande esperienza nel cinema e, con la paura di chi non sa, ci prendevamo in giro. Anche lo sguardo timido e silenzioso di Charlotte Gainsbourg è piacevolmente nei miei ricordi più belli. Poche parole, riservata, quasi fragile, un bell’incontro».

Il cinema è stata una parentesi o credi sia un terreno capace di ispirarti con una certa continuità?

«Finora è stata una bella parentesi che mi ha dato gioie, amici e anche notorietà. Ma sul palco mi sento a casa: la sinergia coi musicisti, il dialogo con il pubblico, quell’equilibrio di energie che cercano un’emozione nello stesso attimo, è impagabile. E’ quello che mi riempie. Non riuscirei a rinunciare».

Hai meno di 40 anni eppure hai già fatto un sacco di cose. Cosa ti ha tolto la musica finora?

«La possibilità di annoiarmi. Infatti manca ancora un po’ prima dei 40 (è nato nel 1977, ndr), succederanno sicuramente delle altre cose, anche se forse un po’ di tempo e tranquillità in più in alcuni periodi potrebbero aiutarmi. Mi piace dedicarmi anche ad altro, coltivare altre passioni, e incastrare tutto restando lucidi non è sempre facile».

Collegandomi alla domanda precedente, cosa pretendi dal tuo percorso artistico nel futuro breve?

«Niente. Continuerò sicuramente a seguire ciò che mi emoziona e ciò che mi affascina. Come in amore, bisogna assecondare solo l’istinto, la passione, e farsi trasportare senza pretese. Ho una speranza però, che la nostra bella musica che trasuda di tradizione guadagni un po’ di spazio in più tra la “musica che conta”, al pari di altri generi. Sul versante internazionale succedono molte più cose rispetto all’Italia. Da noi invece ho come l’impressione che la musica tradizionale venga preventivamente “bollata” come di terza scelta».

“Fomenta” è un disco adatto ai giorni nostri, che sono essenzialmente di crisi? Oppure vuole accompagnare l’ascoltatore verso un momento di evasione dal quotidiano?

«L’individuo è sempre più incline a credere solo in sé stesso. Non ha bisogno della comunità, né di guide spirituali, religiose, pagane, culturali, filosofiche, artistiche. Non ha bisogno più di credere nella terra, nella natura, negli astri. Non ha bisogno di protezione psicologica. L’uomo e la donna moderni sono emancipati. Io direi anche più fragili di un tempo. “Fomenta” è un disco dalle forti radici in una musica arcaica, quella salentina. Parla un linguaggio attuale. Dialoga con interesse con la cultura mediorientale e turca. In entrambe le civiltà musicali la gestualità, i simboli, la parola, il silenzio, la ritualità hanno ancora un’importanza fondamentale. Senza tempo. Immortale. Comunque l’evasione è già un buon inizio. Una bella ragione per esistere».

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