BIRD Andrea Arnold
“Bird” non è un film facile. Mescola i generi, intreccia le tematiche, si muove tra il racconto di formazione, il fantasy, e un realismo dai toni quasi neorealistici. Il risultato è una pellicola che sfida la linearità, a tratti affascina, a tratti disorienta.
La trama. Bailey è una ragazzina introversa e osservatrice, che vive col padre e un fratellastro. La sua quotidianità, piena di vuoti e tensioni domestiche, viene scossa dall’incontro con Bird, un giovane uomo enigmatico, quasi un clochard, che pare parlare una lingua tutta sua. Tra i due si crea un legame insolito ma forte, fatto di intuizioni, silenzi e piccoli gesti. La ragazza inizia a proiettare su Bird un bisogno di fuga e insieme una speranza. I due si avventurano in una sorta di viaggio surreale che, pur restando ancorato alla realtà dei margini urbani, apre spiragli più ampi, quasi onirici. Questo mondo è popolato da personaggi che appaiono e scompaiono, da rovine industriali, da squarci di tenerezza e durezza.
Il finale prova a toccare corde emotive profonde, ma forse non riesce a farle suonare fino in fondo.
La regia di Andrea Arnold è interessante, ma non colpisce sempre nel segno. Nella prima parte l’uso eccessivo della camera a spalla — pensato per dare intimità — risulta più confusionario che coinvolgente. Si perde qualcosa in chiarezza visiva, e talvolta anche in coinvolgimento.
Buona la prova di Nykiya Adams che interpreta Bailey: restituisce un personaggio credibile, trattenuto ma emotivamente vibrante. Ancora più incisivo Franz Rogowski che dà volto a Bird, e che lavora molto sulle espressioni e sa trasmettere una fragilità potente. Ma è il padre di Bailey, interpretato da Barry Keoghan, a piacere di più: intenso, vero, forse sottoutilizzato, avrebbe meritato più spazio.
“Bird” è un film che lascia più domande che certezze, più sensazioni che risposte. E forse, nel suo modo irrisolto, trova proprio lì la sua identità.