BRIMSTONE Martin Koolhoven
“Brimstone” ancora oggi è un oggetto misterioso: pochi riconoscimenti, poco passaparola, poco tutto, insomma. E allora ci pensiamo noi ad alzare le medie: è tra i film migliori degli ultimi 10 anni, perché ha tutto: ottimo cast, bella regia, bel montaggio, una storia suddivisa in capitoli anacronologici e soprattutto tantissime idee. Martin Koolhoven (regista e sceneggiatore) ha creato un vero gioiellino partendo da un soggetto western e mettendoci dentro rancore e dolore, punizione, martirio e resurrezione.
La trama. Nel vecchio selvaggio west, Liz è una giovane levatrice muta, sposata con Eli, un vedovo dal quale ha avuto una bambina, Sam. Il nuovo reverendo giunto al villaggio presso cui vivono turba profondamente Liz. L’uomo si rivela un fanatico religioso e, quando Liz viene incolpata di aver deliberatamente ucciso un nascituro, per punirla le uccide barbaramente il marito. Liz riesce a fuggire con la figlia e con il figliastro adolescente Matthew.
Guy Pearce è un cattivo… meravigliosamente cattivo, e guardando alla sua storia non poteva essere altrimenti: per interpretare certi ruoli bisogna aver vestito tanti panni in carriera, e l’attore australiano non si è mai sottratto, neppure davanti alle pellicole più coraggiose. Ma è tutto il cast a funzionare: da Dakota Fanning alla sorprendente Emilia Jones, senza dimenticare quelli de “Il Trono di Spade”, cioè Carice van Houten e Kit Harington.
Il film è bello perché è cattivo e spietato, non è indulgente e neppure troppo generoso verso lo spettatore. E’ un western come purtroppo non se ne fanno più, è la storia di una fuga impossibile dall’orrore. Finale intelligente che chiude il cerchio a dovere. Insomma, da vedere e rivedere.