DANIELE CELONA «E’ un momento pericoloso, anche per le potenziali derive autoritarie dei singoli governi nazionali»
Con Daniele Celona, autore, cantautore, musicista, siamo andati a caccia di risposte per meglio decifrare queste giornate che si stanno allungando su una primavera molto diversa da come ce l’aspettavamo. Viviamo settimane strane. Che però ognuno di noi sta affrontando con sensibilità proprie.
Pensi che questa situazione e questo riscoprirci terribilmente vulnerabile davanti a un nemico invisibile possano portare – alla fine – a qualcosa di nuovo, a una presa di coscienza (dei singoli) diversa rispetto al passato?
«Mi piacerebbe darlo per scontato. E’ verosimile che la situazione attuale abbia portato la maggior parte di noi quantomeno alla riflessione. Abbia acuito il senso di malessere di chi già si interrogava a più riprese sul senso del nostro correre affannosamente, delle nostre vite chine sugli schermi degli smartphone, sulla necessità di apparire e di autopromuoversi in ogni ambito, pena l’esser tagliato fuori. Abbia magari instillato almeno il dubbio in chi invece della parte di mondo civilizzata e malata di superficialità sia pieno (talvolta inconsapevole) sostenitore. La mancanza di quel che si dava per scontato provoca da sempre turbamento nell’essere umano della società moderna. Da qui al mantenere memoria di questo turbamento, al farne tesoro, sino al risveglio culturale di due generazioni, ce ne passa».
Che ruolo può avere, oggi, in questo momento, un artista: intrattenere comunque il pubblico usando i mezzi a disposizione, oppure cercare di elaborare questi giorni provando di conseguenza a dare – tramite l’arte – una chiave di lettura?
«Parto dalla mia vicenda personale. Ero molto scettico all’inizio all’idea del moltiplicarsi di altri contenuti mordi e fuggi. Dopo un paio di giorni dall’inizio dell’isolamento hanno iniziato ad arrivarmi le prime richieste di diretta per tenersi in contatto, anche in vista delle date annullate e mi son detto che probabilmente era giusto fare qualcosa verso chi normalmente brucia i chilometri, quelli veri, per raggiungere la location di un concerto. Contemporaneamente hanno iniziato a partire e delinearsi alcune iniziative che facevano rete tra locali, festival e addetti per tener alta l’attenzione su quei luoghi normalmente fonte di aggregazione e divertimento, costretti ora a chiudere i battenti. Anche in questo caso mi è sembrato corretto dar precedenza alle richieste che giungevano da questa rete per trasmettere dalla pagina di questo o quel locale/festival o per partecipare all’una o all’altra iniziativa che puntasse a raccogliere fondi per gli ospedali. Insomma, sotto questa luce, la mia orsitudine poteva certo esser messa da parte per un po’. Ho anche aperto la sezione forum del mio sito, sezione preparata e mai attivata, per dare una casetta virtuale a chi la volesse e rispondere ad alcune domande su dischi e quant’altro. Mi è sembrato un buon contrappeso dal sapore antiquato e stabile da contrapporre all’usa e getta delle stories per esempio. Ora, allargando la visuale dal mio caso specifico, mi sembra di vedere ancora in alcuni casi un malcelato bisogno di autogratificazione più che reale altruismo e l’atteggiamento di chi anche in questa situazione scorge solo nuove opportunità per far girare il proprio nome mi fa letteralmente ribrezzo. Detto questo, la funzione di “calmiere sociale” resta, ed è importante. Pertanto se la frase, la canzone, il balletto, il buon esempio, l’incoraggiamento del tuo artista preferito o del tuo idolo sportivo, ti aiuta a non fare il testa di cazzo, ti dà sollievo nelle difficoltà delle quattro mura, ben venga. La tenuta psicologica e la forza di volontà saranno determinanti per vincere questa battaglia. Ergo, ahimè, vale un po’ tutto. Dalla diretta da due soldi del sottoscritto alla forza di suggestione esercitata dal grande nome, alle iniziative collettive sagaci o stupide che siano. Questo perché fuori di casa, nelle corsie, si muore davvero».
Da cittadino, invece, come stai vivendo questo momento così particolare e carico di tensioni? Ti senti rassicurato da chi è chiamato a prendere decisioni nazionali?
«Vedo luci e molte ombre. E’ un momento pericoloso, anche per le potenziali derive autoritarie dei singoli governi nazionali, è indubbio. D’altra parte la dappochezza culturale di parte della popolazione, il proliferare di sentenziatori a tutto tondo, di tuttologi del sentito dire, del passaparola da social è tale da mettere quasi in crisi la stessa bontà del credo democratico. Banalmente un governo dovrebbe comportarsi da buon padre di famiglia e in questo frangente è inevitabile che l’eterna equazione che vede libertà da un lato in cambio di sicurezza dall’altro debba assumere valori diversi. Tutte le Nazioni erano impreparate davanti a una pandemia reale, anche la nostra. Siamo arrivati in ritardo, in particolare sull’obbligatorietà sin da subito di certe protezioni per il personale sanitario. Eppure abbiamo preso prima di altri decisioni critiche riguardo alla quarantena. Non mi sento rassicurato certo, ma mi chiedo come sarebbe andata col governo precedente e ho paura anche solo a pensarci. Offro solo qualche spunto di riflessione».
Interessante, vai avanti…
«Il problema potremmo considerarlo a monte, di scelte passate e pluriennali, d’impostazione stessa del nostro e di altri Stati: in cosa credere, per cosa rischiare, che cosa proteggere. Siamo onesti, chi insisteva (sono tra questi) sulla necessità di investire in sanità e in ricerca, piuttosto che in armamenti era tacciato spesso di idealismo, qualunquismo, ingenuità. Eppure, ora che queste critiche vengono meno, forse non possiamo ugualmente permetterci di vederla così in bianco o nero quando alla fine si tratta sempre della vecchia storia della coperta corta, in altre parole di risorse che non ci sono o non sono sufficienti. Se oggi stessimo parlando di un’invasione invece che di un’epidemia, punteremmo il dito contro gli altri capitoli di spesa e così via a seconda dell’emergenza, in un gioco in cui il banco perde sempre».
Chiusi in casa, e talvolta in una condizione di solitudine terribile, cosa può avvicinarci alla felicità?
«Non posso davvero far testo su questa domanda per molteplici fattori. In primo luogo l’isolamento e la solitudine spesso mi mancano e ho bisogno di ritrovarli, paradossalmente come se fossero dei vecchi amici. E’ una dimensione che riesco a ritagliarmi soprattutto in Sardegna, ma anche nella frenetica vita torinese devo riservarmi dei momenti di silenzio e riflessione o ne esco pazzo. Sono più temprato di altri verso questa particolare condizione. In secondo luogo ho l’enorme privilegio di potermi dedicare alla scrittura e agli strumenti. E ancora, visto che sono un fottuto nerd, le ore che spendo su videogiochi e anime, alienato come un bambino, sono sempre molte. Non ho saggi consigli da dare per la situazione attuale se non quella di cercare di essere comunque produttivi, ognuno nelle proprie passioni. I consigli del nonno insomma: viaggiare col pensiero a quello che si potrà fare dopo. Decidere che peso dare davvero alla birra bevuta in piazza con gli amici, alle passeggiate tra il verde, ai tuffi in mare, a tutto quello che la nostra generazione ha sempre dato per scontato, e magari godersi la vista di ciò che si ha davanti per qualche secondo in più prima di preoccuparsi dell’inquadratura giusta del nostro telefono».