Opinioni

GIANCARLO ONORATO «Politica è saper insegnare a non barare»

La nostra recente intervista a Pierpaolo Capovilla e le imminenti elezioni ci hanno suggerito l’idea di chiedere ad alcuni artisti con che spirito si stanno avvicinando al prossimo appuntamento elettorale.

«Rendere nota la propria scelta in materia di voto quando si è un personaggio pubblico è una grossa responsabilità. Tuttavia io voglio essere coerente con i miei principi di chiamata appunto alla responsabilità e non mi sottrarrò. Sarà necessaria tuttavia una riflessione che introduca la mia scelta e la prenderò per una via di significato e non per  slancio.

Io credo che non basti più votare a sinistra quando la sinistra annaspa e tende a riformularsi troppo tardi, quando il Paese è ormai agonizzante. Questa è una grave colpa di chi si ritiene a sinistra, ma è stato troppo a lungo incapace di intervenire con il proprio concreto esempio sulle necessarie trasformazioni radicali, di pensiero, di cui abbiamo bisogno. È la colpa storica della sinistra e di tutto il pensiero progressista degli ultimi decenni.

Un tempo aveva senso inglobarsi in una vaga ma esistente opposizione, rappresentata a sinistra da alcune compagini più integre rispetto a quelle che avevano assaporato il gusto dell’egemonia della cosa pubblica. Oggi non è più vero, e non si può lasciare che il Paese finisca in mani pericolose solo raccontando a se stessi di essere a sinistra e dunque celandosi in iniziative velleitarie, bofonchiare che occorre il cambiamento ma senza essere capaci di dimostrare a se stessi la volontà di operarlo in prima persona, con scelte forti, precise, decise, coraggiose, che possono a volte arrivare a pregiudicare la propria carriera o metterla in difficoltà. Vedo troppi finti combattenti di sinistra che agiscono così. Non conosco che pochi musicisti, scrittori, attori eccetera che non siano benestanti (anche se non è una colpa, ma solo una condizione di vantaggio), e pontifichino su ideali trasformazioni della società dal caldo nido della propria posizione privilegiata. Tranne anelare nascostamente e poi all’occasione aderire subito alla prima chiamata per scrivere la sceneggiatura della più stupida “fiction”, o la chiamata presso gli altari del mainstream. Detesto tutto questo, e vedo gli effetti che ciò produce sul Paese.

La cosa pubblica in generale in Italia è il risultato di ciò che alcuni interessi di parte hanno contribuito a fare in molti anni. Per capire che cosa è il nostro Paese oggi, occorre avere memoria di che cosa era all’alba della fine della seconda guerra, quando un’esangue, analfabeta, affamata popolazione condotta allo sfascio dalla melagalomania nazionalista e dall’abuso di potere, si è ritrovata nuovamente violentata nelle sue più basilari funzioni vitali da chi ne ha poi preso le redini nei primi Anni Cinquanta. E quali sono questi elementi di base negati? La crescita individuale, la distribuzione del sapere e dell’uguaglianza di diritti. Sono i tre requisiti che conducono alla libertà di pensiero e alla dignità della persona, e sono l’unico antidoto a ogni deragliamento tra quelli oggi assai visibili ovunque.

Non essendosi mai emancipata come collettività, anzi essendo rimasta principalmente vittima di svariate violenze strutturali e psicologiche che ne hanno fatto per tutti questi ondivaghi ottanta anni una realtà-nazione senza midollo, la collettività italiana sopravvive solo, oggi come un tempo, grazie ad eroici individualismi ed a isolate e autentiche coscienze che sostengono con il minimo indispensabile tutto l’impianto del Paese, quanto basta perché non si precipiti in scenari da incubo.

Ma oggi bisogna temere che tutto ciò possa degenerare.

Se nel 2018 undici milioni di “persone” annientate dalla disinformazione di Stato, assiste in modo acritico e passivo alla vittoria presso il festival delle baronie dello spettacolo di una canzonetta retorica rimaneggiata e per buona parte già pubblicata due anni prima, e se un Paese intero, smesso di sbavare per un puttaniere paperone non vede l’ora di ubbidire a un nuovo padrone col faccino da bravo ragazzo e dai principi liberisti vaghi che promette nuovi scenari fondati su visioni bislacche della realtà, e se un numero crescente di persone è convinto che i nemici siano gli immigrati, mentre contemporaneamente una strisciante e vigliacca fetta di Paese vaneggia il ritorno a totalitarismi, e se infine si ritorna alle botte in strada tra chi si crede di destra e chi di sinistra, allora io credo che ci sia da rifare tutto da capo.

Io credo all’intervento di ogni singola persona per mutare le cose a partire da se stesso, e per fare questo, so per certo che occorre raccontare il mondo in modo oggettivo e disinteressato, occorrono padri e maestri che non badino al proprio tornaconto personale come per troppo tempo è stato, ma sappiano spendersi per il bene di tutti e fuori da ogni demagogia e da ogni interesse di parte o categoria. Questo presuppone la rinascita di un’etica integrale, che attraversi ogni settore, e in base alla quale la scuola non sia un ridicolo parcheggio ma un luogo di invenzione e di confronto aperto con il mondo, l’informazione non sia vendita di spazi pubblicitari, la conoscenza e la ricerca siano davvero al primo posto, e ogni persona ottenga il giusto rispetto che ogni persona deve avere affinché il mondo possa progredire.

Se io ottenendo potere lo uso unicamente per il mio utile, ho perpetuato il gioco al massacro che si è fatto in tutti questi decenni e che oggi ci mantiene al palo e ci impedisce di vivere e agire all’altezza di questo tempo.

Per me politica è un’editoria libera dall’ossessione della vendita di qualunque porcata, ma dedita alla crescita del lettore, perché solo attraverso questa vi può essere editoria e profitto durevole e meritato. Politica è saper insegnare a non barare, e per poter insegnare ciò occorre poter dimostrare di non avere barato a propria volta quando ve ne è stata l’opportunità.

Il nostro è un ben piccolo Paese, e noi siamo arretrati e incapaci di valutare il mondo nella sua nuova complessità.

Ho simpatia per il manifesto e per gli intenti di “potere al popolo”, ma detesto prima di ogni cosa il nome di questa lista, del tutto anacronistico e ridicolamente retorico. Ritengo già la sola scelta del nome un passo falso. Inoltre  ritengo che il programma e il manifesto di questo movimento, molto affine a quanto io stesso ho detto qui sopra, arrivi troppo tardi, e penso che ciò renderà vano lo sforzo di averci provato.

La politica del cambiamento la si conduce ogni giorno nella propria vita, e se le cose vanno tanto male come da noi, non si aspettano tempi avariati come questi per unirsi e porre l’accento su ciò che non va, andandosene a gareggiare all’ultimo momento donchisciottescamente con chi ha spazi di visibilità e imposizione da parte dei media milioni di volte superiori. Occorreva e occorre unirsi e muoversi per tempo, alimentare una visione critica, incrementare lo sviluppo delle coscienze, occorreva che l’intellighenzia del Paese, quasi del tutto ormai priva di midollo, smettesse prima di farsi la guerra tra testa e testa, e di fare la gara del “chi è il più bello del reame”, perché questo è ciò che fanno in massima parte coloro che scrivono, fanno musica, giornalismo, teatro, cinema, eccetera. Un’orda di vanesi intenti solo a curare la propria fortuna, tentandola e spesso elemosinandola ad ogni dove, pretendendo ognuno di essere ineguagliabile e necessario (non è forse lo stesso errore dei “politici”?), invece di rimboccarsi le maniche e imparare a mettere le mani nel fango, che in qualunque tempo è l’unico modo per contribuire al proprio tempo. Come seppe fare Pasolini, ad esempio, amici miei.

Gli intellettuali italici ai nostri tempi sono persone col culo al caldo, quasi sempre garantiti da famiglie benestanti, pregiati da posizioni che permettono loro di comunicare da pari ai più alti ranghi della comunicazione, e dalle proprie posizioni di favore si masturbano attorno ai propri presunti meriti, millantando una partecipazione autentica alla cultura del Paese.

L’intellettuale è invece il medico empatico di una collettività. È la sua coscienza, e soffre i suoi stessi dolori. Se da noi ciò fosse Stato vero e il medico avesse fatto il medico, il malato non sarebbe il moribondo che invece è.

Pur identificandomi nei contenuti del suo manifesto, ritengo che sia dunque troppo tardi per ottenere risultati con una lista lodevole nei contenuti come quella di “potere al popolo”. E quando si tratta di grandi numeri, che sono quelli che fanno sì che in Italia per “ragioni di mercato” diventi celebre dunque “importante” un cantantucolo ridicolo col rolex al posto di un autentico talento, non ci si può nascondere dietro a presunzioni di verità autorefenziali, e non si può farlo solo per mettere a tacere la propria coscienza a tempo abbondantemente scaduto, ma occorreva e occorre farlo sistematicamente e lavorare davvero e sempre affinché le idee circolino vergini e immediate, e non con il marchio dello sponsor.

Siccome questa debolezza a sinistra credo che non serva affatto al bene del Paese, quella lista che gode della mia condivisione di intenti non la vedo dunque sostenibile.

Vedo invece il pericolo che risiede in tutte le altre fazioni che hanno purtroppo ottime possibilità di ottenere favori grazie all’incapacità di giudizio troppo diffusa.

Temo il franare di ogni significato, sia a destra come a sinistra. Ma credo che l’unica via più produttiva sia quella di sostenere lo straccio inguardabile del centro sinistra, per evitare o anche solo tamponare il più possibile il rischio di svegliarci con idioti al comando.

Se mi trovo su un autobus che viaggia male sull’orlo di un baratro, e sono costretto a scegliere se a guidare debba essere un furbo, un incapace o un pazzo, la scelta cade per ragioni di sopravvivenza sul furbo. Perché nell’emergenza nessun altro, anche se molto migliore dei tre maggiori candidati, sarà in grado di raggiungere il volante. Starà a me, poi, una volta salvo, lavorare affinché la corriera sia affidata in futuro a chi sa e può portare la gente in salvo, e scongiurata la presenza di pazzi e di incapaci, togliere dal gioco chi si è dimostrato solo un furbo, come è accaduto col centro-sinistra.

Io voterò dunque per contrastare sia ogni forma di destra, sia vaneggiamenti stellati. Non ne sono contento, ma confido che i donchisciotte che si svegliano all’ultimo minuto, vengano a parlare anche con me, che non ho mai smesso un istante di lavorare per le idee, per fare insieme e davvero, da domani, da ogni momento, una realtà di libertà più autentiche, quelle libertà che non si debba poi cercare di salvare in extremis con gesti disperati.

Perché come è noto, quando è troppo tardi, il malato lo si perde».

gianCarlo Onorato, cantautore

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