MANI NUDE Mauro Mancini
Con “Mani nude“, Mauro Mancini firma un film che si muove tra ambizione e discontinuità, tra l’aspirazione a raccontare una storia di redenzione e il richiamo forte al genere action, contaminato da suggestioni autoriali. L’incipit è potente: Davide, un ragazzo diciottenne di buona famiglia, viene rapito e trascinato in un mondo sotterraneo di combattimenti clandestini, dove le regole non esistono e la sopravvivenza passa attraverso la brutalità. A tirare le fila è Minuto, interpretato da Alessandro Gassmann, ex pugile con più ombre che parole, alle dipendenze di un boss tanto silenzioso quanto inquietante (Renato Carpentieri). In questo microcosmo, Davide è costretto a cambiare pelle, e in questo passaggio trova una luce fugace nella figura di Eva, interpretata da Fotinì Peluso.
La regia di Mancini è indubbiamente il vero punto di forza del film: lo sguardo è attento, dinamico, ma mai confuso, e riesce a costruire una tensione credibile, supportata da un montaggio ritmato che tiene alto il livello di coinvolgimento. La fotografia è curata e mai banale, con un uso preciso dei contrasti e delle ombre che restituisce coerenza all’ambiente chiuso, claustrofobico, in cui si svolge gran parte del racconto. A impreziosire il tutto, le musiche di Dardust, forse la componente più raffinata dell’intero progetto: mai invadenti, ma capaci di donare profondità emotiva anche ai passaggi più meccanici della narrazione.
Il problema, però, emerge altrove. Gli attori scelti funzionano sulla carta, ma non convincono fino in fondo sullo schermo. Gassmann, che in passato ha regalato interpretazioni potenti, come nel sottovalutato “Razzabastarda”, qui sembra trattenuto, poco credibile nel ruolo dell’allenatore ruvido ma paterno. Francesco Gheghi, nei panni del giovane protagonista, affronta un personaggio difficile, ma non riesce a dare spessore ai momenti chiave: i dialoghi scivolano, i passaggi emotivi restano in superficie, anche nelle sequenze d’azione, che a tratti evocano l’estetica dei film con Van Damme degli anni Novanta, ma senza quella forza pulp che li rendeva iconici.
La sceneggiatura è il vero tallone d’Achille di “Mani nude”. Dopo un inizio convincente, la trama si fa incerta, procede a scatti e inciampa in alcuni passaggi che lasciano perplessi. I twist narrativi, più volte seminati come se dovessero aprire strade inaspettate, finiscono spesso per risultare goffi o poco credibili, privando la storia di quella tensione drammatica che vorrebbe costruire. Alcune svolte sembrano inserite per obbligo più che per necessità narrativa, e questo mina la tenuta del racconto soprattutto nel secondo tempo. Il finale cerca una via più autoriale, quasi “d’essai”, lasciando la porta aperta a più interpretazioni, ma arriva dopo una serie di passaggi troppo traballanti per risultare pienamente efficace.
In definitiva, “Mani nude” è un film che sfiora la sufficienza ma non riesce ad afferrarla del tutto. Resta il coraggio della regia, l’attenzione al comparto visivo e sonoro, e una volontà chiara di alzare l’asticella del cinema di genere italiano. Ma a pesare sono le interpretazioni che non lasciano il segno e una scrittura che, nel tentativo di sorprendere, finisce per perdere il senso del passo. Un’occasione a metà, che lascia il sapore di un film tecnicamente valido ma narrativamente irrisolto.