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MARCO MENGONI «Prima convivevo con la pressione e l’aspettativa. Adesso è come se mi fossi disconnesso»

Il protagonista del nuovo numero di Vanity Fair è Marco Mengoni. L’artista da quasi tre miliardi di streaming, 85 dischi di platino, otto album in studio e 15 anni di carriera, si prepara al suo prossimo tour negli stadi in partenza il 21 giugno da Lignano Sabbiadoro – con mezzo milione di biglietti venduti – e si racconta in un’intima intervista al magazine, dove alterna momenti di emozione a risate liberatorie, ricordi senza filtri a messaggi senza compromessi. Un dialogo profondo in cui afferma: «Prima convivevo con la pressione e l’aspettativa. Adesso è come se mi fossi disconnesso. È stato un lavoro importante. Lavorare con la terra è il mio modo di disconnettermi. No, non dai social: da me stesso. Mi disconnetto per ritrovarmi».

E proprio al desiderio di disconnessione è dedicato questo numero di Vanity Fair. Tra le pagine tanti articoli, reportage e interviste sviluppate a partire dall’urgenza di togliersi dai social network, da mail e messaggi che ci travolgono ogni giorno. Un tema forte e attuale che il magazine seguirà anche attraverso contenuti dedicati sui canali digital e social del brand.marco mengoni

Sugli stadi e il tour in Europa.
«Ho scelto di misurarmi con un progetto “audace”. Ancora più dei tour precedenti, mi prendo la responsabilità di ogni scelta, dal numero di luci sul palco al materiale dei vestiti dei performer. Ho in testa un’idea precisa: far tuffare il pop – sono un cantante popolare e ne vado fiero – nell’opera. Ciò che porto in questo tour coincide poi con il mio recente percorso, un processo di decostruzione per ricostruire, come del resto capita alla società. Scavare, levare le macerie, riassestare ciò che resta e partire di nuovo. Dopo gli stadi, il tour europeo in autunno. Lo faccio ormai da tanti anni, sono cambiati gli spazi: dai club ai palazzetti. Esibirmi all’estero mi pare normale: non credo nei confini, nelle dogane che bloccano. L’Italia è in Europa e io sono un italiano europeo, un iper europeo. Aggiungerei la tappa di Budapest per lanciare un messaggio».

Sull’impegno come artista.
«Vivo in un Paese che non mi rappresenta, che ha fatto diventare la pratica della maternità surrogata un reato universale. Ci rendiamo conto? Ci sono figli nati prima di questa assurdità che cresceranno e scopriranno che i loro genitori sono punibili penalmente. Per fortuna ho vicino persone con la mia stessa visione. E sono convinto che quelli che non ce l’hanno siano pochi, ma abbiano più potere. Come artista io non smetto di prendere posizione, di piantare un seme di riflessione: da sempre il palco per me è un momento per condividere un messaggio, non pretendo di convincere nessuno ma mi piace che il pubblico esca dai miei concerti con spunti e domande».

Sull’amore.
«Io amo amare, mi piace svegliarmi e andare a letto con il pensiero fisso di un amore. Ho questa foga di accudire l’altro e in passato ho anche strafatto. Ora però non c’è nessuno».

L’intervista completa è disponibile sul numero di Vanity Fair in edicola dal 7 maggio e sul sito vanityfair.it

Giornalista: Chiara Oltolini
Fotografo: Noémi Ottilia Szabo
Servizio: Aurora Sansone
Fashion credits: Cover Look: Trench, Bally.

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