
SIDE BABY «Dopo il rap potrei darmi alla politica»
Gianmarco Aimi (estratto da mowmag.com)
È uscito il tuo terzo album, “Leggendario” (Warner Music Italy). Come ti senti?
«Bene bene, sono contento. Non vedo l’ora di ascoltare un po’ di pareri».
Quando hai iniziato come vedevi i 30enni?
«Li vedevo grandi, anzi grandissimi. Tipo che a 30 anni sei un vecchio. Infatti sono un vecchio (ride). Quando avevo 16 anni non pensavo manco che ci sarei arrivato a questa età. Adesso però mi sento bene, sembra l’inizio di un bel periodo».
Il tuo primo album si intitolava “Il ritorno del Vero”, ma anche nei dischi successivi, come quest’ultimo, la ricerca della verità nuda e cruda continua con le sue luci (poche) e le sue ombre (tante). Come disse Caravaggio: “Cerco il vero”. Ti senti un po’ caravaggesco?
«Anche lui ha avuto una vita abbastanza travagliata e a Roma ha lasciato una bella impronta, mi ci posso rivedere. Per me è fondamentale la verità. Ne ho fatto la mia bandiera. Cambiare non avrebbe senso. E la falsità è il contrario di quello che faccio. Spesso nel rap “vero” è sinonimo di “ghetto” o “di strada”, invece per me il “vero” è la narrazione di se stessi. Non c’è dietro un personaggio creato a tavolino. Non ho mai pensato “voglio essere questo”. Io semplicemente sulla traccia mi sfogo e dico quello che penso».
E Roma è la scenografia costante.
«Roma è la protagonista della mia musica, viene anche prima di me».
Una Roma che però tutti dicono essere in decadenza e invivibile.
«È vero, ma è bellissima lo stesso. Purtroppo è una città pieno di problemi, complicata e un po’ lasciata a se stessa. Ma è anche la città più bella del mondo. E soprattutto noi romani ci teniamo a essere di Roma, è un vanto nonostante tutto».
Come ricordi spesso nei tuoi brani, anche il rione ha la sua importanza.
«Il mio è Testaccio, rione venti. È il centro di tutto. Da dove tutto parte per me».
Un po’ come il barrio per gli argentini.
«Sì, poi il mio quartiere in particolare è famoso perché è come se fosse un paesino. C’è ancora quella sensazione di conoscersi tutti, con i bambini che stanno in piazza fino a sera senza genitori, ci si aiuta a vicenda, passi da una casa all’altra».
Canti di ambire a diventare il re di Roma, ma se ti chiamasse il sindaco Roberto Gualtieri e ti chiedesse qualche consiglio, quale gli daresti?
«Ne avrei parecchi da dargli, vivendoci li conosco tutti. Gli farei la lista che sarebbe bella lunga. Ma credo che ogni cittadino oggi potrebbe fare meglio dei politici attuali. Questa politica è zozza».
Anche perché siete più ascoltati voi rapper e trapper rispetto ai politica, in particolare dai giovani. Non è che vi sottovalutano?
«Ma certo, non è una cosa stupida. Guarda per esempio in America l’importanza che stanno avendo i rapper nelle elezioni. Perché siamo lo specchio di chi va a votare, soprattutto dei giovani. Comunque te lo anticipo, dopo il rap potrei darmi alla politica».
Quanti tuoi colleghi sono peggiorati a causa dei soldi?
«Tantissimi. Troppi! È una condizione comune tra gli artisti. Non ho mai capito se è normale che gli artisti arrivino agli eccessi o se chi è portato agli eccessi poi diventa artista. Quale delle due? Non saprei. Se ci pensi, in un verso o nell’altro, ci cadono tutti. Persino Maradona, un artista del calcio. Forse chi è portato agli eccessi è portato a eccedere anche in quello che sa fare meglio».
C’è da dire che con la Dark Polo Gang non avete avuto nessuna major che vi sostenesse, siete stati un fenomeno arrivato in classifica da zero.
«Eravamo solo noi, facevamo tutto da soli. Non ci aspettavamo quell’impatto. Speravamo che succedesse qualcosa, ma quello che è successo no. Assolutamente no. Persino portare un termine nella Treccani (bufu, ndr), o essere conosciuti anche dalle nonne. Questo chi lo pensava?».
In quel periodo voi a Roma e Sfera Ebbasta a Milano avete lanciato la trap in Italia.
«È andata proprio così. La Dark e Sfera sono i padri della trap italiana».
E com’è cresciuto questo “figlio”?
«La scena in Italia è super figa. Non solo la trap, che è un sottogenere del rap che parla della vita di strada. Non è solo un tipo di sonorità, è soprattutto un tipo di argomenti. Però mi piace come si sta muovendo la scena. Non ho critiche ai giovani, solo complimenti. Spaccano!».