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THE SUBSTANCE Coralie Fargeat

the substance

Il film ha tre finali. Partiamo da quello più brutto, cioè quello che conclude realmente la pellicola. Poi c’è quello che potremmo definire “il finale del teatro”, che arriva pochi minuti prima del the end, è quella sarebbe stata una buona conclusione, non tanto per una questione di contenuto, ma perché tutta quella scena è girata veramente bene. Poi c’è quello che potremmo definire “il finale del bagno e dello specchio”, che arriva una decina di minuti prima dei titoli di coda, è quella conclusione secondo noi avrebbe dato alla pellicola di Coralie Fargeat una perfetta chiusura del cerchio. Non avremmo parlato di capolavoro, ma ci saremmo andati molto vicini, perché con quel finale si sarebbe lasciato lo spettatore a farsi alcune domande necessarie per meglio comprendere i significati del film. Purtroppo invece si è scelto di allungare il brodo e quindi il giudizio che ci sentiamo di dare di “The Substance” è in parte agrodolce.

Coralie Fargeat mette assieme una pellicola dal soggetto originale ma che negli ultimi 15 minuti svacca completamente, con una apoteosi di esagerazioni non necessarie – la regista parigina gode quando può lasciarsi andare completamente e forse è anche un pochettino il suo tratto distintivo, la sua cifra stilistica, parliamo di questo suo esagerare nei finali. Tutto perdonato? In parte sì, perché la sua regia in questo caso (forte di un supremo montaggio) è eccellente.

Prima parte veramente interessante, con Demi Moore e Margaret Qualley che fanno a gara a chi è più brava, e sinceramente facciamo fatica ad assegnare la palma a una delle due, perché Demi Moore offre una prova interpretativa di alto livello, e in una certa misura riafferma il suo ruolo fra le star di Hollywood, un ruolo che a volte, complice anche qualche pellicola non proprio azzeccata, è vacillato. Margaret Qualley ci mette una sensualità e una freschezza che bucano lo schermo: Coralie Fargeat l’aiuta con le inquadrature, ma lei ci mette tanto del suo per scioccare con la sua bellezza lo spettatore. Una nota a parte per Dennis Quaid, bravo in un ruolo fumettistico che sarebbe dovuto toccare – così pare – a Ray Liotta che purtroppo è morto.

In conclusione: un body horror che tanto ha rubato all’immaginario di David Cronenberg, e che in alcuni passaggi ha qualcosa del genio di David Lynch. Potrebbe diventare un cult? Sì.

Review Overview

SCORE - 6.5

6.5

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