DARIO FERRANTE Uno
Che bella sorpresa, questo “Uno”, primo album ufficiale di Dario Ferrante. Per di più, autoprodotto. Quindi ancora maggiori meriti all’autore. Il disco è cinematografico al massimo, e non solo perché le 6 tracce in scaletta sono strumentali, ma perché durante l’ascolto la mente crea collegamenti ipertestuali con altre fascinazioni sonore, frammenti che arrivano – ad esempio – dalle colonne sonore di Clint Mansell, ma lungo la strada è facile imbattersi anche in Ludovico Einaudi.
Ferrante ha un tocco magico, le sue costruzioni melodiche sono deliziose, ti prendono per mano e ti rassicurano. Le linee elettroniche sono spesso ricavate da campioni (processati) di oggetti che ciascuno di noi utilizza nella sua quotidianità: forchette, bicchieri di vetro, utensili di legno o metallo per enfatizzare un approccio materico in contrapposizione con le linee eteree che si respirano in tutto l’album. L’ambiente elettronico è costituito anche da sonorità eseguite con software per la programmazione musicale e da sintetizzatori. Il risultato? Un compact che in 19 minuti riesce ad emozionare, che ha nei crescendo i suoi punti di forza. C’è originalità? Ferrante non inventa nulla, la sensazione di averle già sentite, certe cose, c’è, ma tanto di cappello a uno che in 6 canzoni è riuscito a creare un immaginario così efficace e potente.
In conclusione: tra le migliori cose – in ambito strumentale – uscite in Italia nel 2016. Il brano migliore? “Elle”.