ANORA Sean Baker
Subito un distinguo. Ci sono i “buoni film” e ci sono i “film che restano”. I “buoni film” hanno delle buone idee, ma passano, non vanno oltre una stagione. Intendiamoci, non sono brutte opere, ma sono destinati a rimanere in un limbo. “Anora” è un “buon film” con qualche eccellenza. Jurij Borisov è una di queste: la sua prova d’attore è profonda, fisica, persino potente in certi passaggi. Lui meritava quell’Oscar che invece – in un’altra categoria – è stato dato alla protagonista della pellicola, Mikey Madison, bravina, ma forse risarcita più per tutte le scene di sesso che ha dovuto girare, che per la sua prova. Mentre la guardavamo sul grande schermo, e pensavamo al suo Oscar, la mente è andata a un’altra… “prostituta di scena”, cioè Elisabeth Shue che in “Via da Las Vegas” nel 1996 di statuette ne meritava non una, ma due. Purtroppo a volte le giurie seguono logiche strane.
La trama. A New York, Anora è una ventitreenne sfrontata di padre ignoto e madre assente, e lavora sette notti su sette come spogliarellista in uno strip club. Una sera, sapendo parlare il russo, le viene affidato un cliente molto ricco: Vanja, viziatissimo e immaturo rampollo di un oligarca russo, Nikolaj Zacharov. Attratto da lei, il ragazzo le chiede di rivedersi nella villa di famiglia dove si trova in vacanza studio e Anora accetta di buon grado, spinta da calcoli materiali ma anche da una sincera simpatia per la natura frivola e scriteriata del ragazzo. I due consumano diversi rapporti sessuali a pagamento nei giorni seguenti finché Vanja non le offre 15000 dollari per essere la sua fidanzata per un’intera settimana.
Sean Baker co-produce, scrive, monta e dirige il classico “film della vita”. Che noi dividiamo in tre parti: la prima che punta la luce sul rapporto tra Anora e Vanja ed è interessante; la seconda che riguarda la notte passata alla ricerca di Vanja che è piuttosto noiosetta; infine ci sono gli ultimi 20 minuti che sono grande cinema, con la scena finale che va a scavare nell’intimo dei protagonisti e fa scivolare il film verso qualcosa di potente dal punto di vista emozionale, con tanto “non detto”, e molto “da interpretare”. In quell’ultima scena Mikey Madison è davvero brava, ma soffermatevi sull’espressione che mantiene Jurij Borisov: tutto superbo.
In conclusione: un film carino, con gli ultimi 20 minuti che sono pura emozione.