MOONLIGHT Barry Jenkins
Tra poetica e bella narrazione, alla fine l’Academy ha voluto premiare la poetica agli Oscar 2017. Per la verità – tenendo conto del casino che è successo sul palco al momento dell’assegnazione del premio – ci verrebbe da dire che i giurati sino all’ultimo hanno provato a mischiare le carte (e le buste) ma stringi stringi si è deciso di dare la palma di miglior film alla pellicola di Barry Jenkins. Giusto? Sbagliato? Questione di gusti. Noi puntavamo su “La La Land” (e tutt’oggi siamo convinti che come film avesse qualcosa in più…), ma il premio a “Moonlight” non è stato scandaloso. A lasciarci qualche perplessità, semmai, l’Oscar assegnato a Mahershala Ali per il ruolo di non protagonista – noi avremmo puntato su Michael Shannon (“Animali notturni”) oppure su Lucas Hedges (“Manchester by the Sea”). Mahershala Ali è un ottimo attore (chi ha confidenza con “House of Cards” non potrà che concordare) ma in questa occasione non è stato eccezionale. Bravo, ma non eccezionale da meritarsi un Oscar.
La trama del film ruota attorno a Chiron, un bambino afroamericano originario di Liberty City chiamato da tutti “Piccolo”. La madre, Paula (Naomie Harris), invece di prendersi cura del figlio ama drogarsi e vivere nella lussuria. I due abitano insieme in un quartiere di Miami segnato da droga e violenza. Il film racconta la vita di Chiron nelle tre fasi più importanti della sua esistenza: infanzia, adolescenza ed età adulta. Quindi vediamo Chiron cambiare tre volte fisionomia (la versione da adolescente di Ashton Sanders è la migliore) e vediamo trattati un po’ alla volta temi delicati come la sessualità, la perdita dell’innocenza, l’amore, la famiglia, la lealtà, il perdono, insomma, c’è tanto nel film di Barry Jenkins e non sempre la narrazione risulta fluida. Andando per estremi, troverete lungo la strada qualcosa di “Brokeback Mountain” e anche qualcosa de “La grande bellezza”: omosessualità e desiderio di tornare a un’adolescenza che ha scavato radici e provocato/curato ferite.
Il cast offre una prova d’insieme convincente e la regia di Barry Jenkins è veramente curata, con un paio di riprese di pregio. Ecco, forse avremmo invertito gli Oscar: a Barry Jenkins il premio alla regia (poi finito a Damien Chazelle per “La La Land”) e a “La La Land” la palma come miglior film, ma parliamo di dettagli. Entrambe le pellicole hanno qualità e sono destinate a restare.