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A PERFECT CIRCLE Eat the Elephant

perfect circle eat elephant

Eat the Elephant” è un album bellissimo. Quindi potete tranquillamente fermarvi qui, evitare di continuare a leggere la recensione e godervi le 12 tracce in scaletta. Non è necessario dilungarsi troppo quando i fatti hanno un’evidenza tale che ogni possibile commento rischia di risultare superfluo. Quindi “buon ascolto” a chi si fermerà qui.

Per tutti gli altri, iniziamo con il dire che ci sono voluti quasi tre lustri per mettere attorno a un tavolo (con idee chiare sull’indirizzo del progetto) Maynard James Keenan e Billy Howerdel. Ma crediamo che sia stato soprattutto il primo a prendersela con calma, visto l’andazzo preso anche con i Tool. Alla fine è venuto fuori un disco potentissimo, piuttosto distante dal compact di esordio (pieno di canzoni in senso classico) ma allo stesso tempo familiare per tutti quelli che si sono innamorati del suono degli A Perfect Circle. Insomma, il marchio è quello, ma la forma attorno a esso si è modellata e rimodellata, ecco perché “Eat the Elephant” si avvicina più a certe cose dei Tool piuttosto che a quello che inizialmente erano gli APC. Quindi preparatevi a trovare canzoni diverse dentro la stessa canzone, cambi di ritmo improvvisi, costruzioni sonore ambiziose e un cantato che concede il giusto alla rabbia e sa toccare le corde più intime dell’ascoltatore. Forse Maynard James Keenan con gli anni ha perso qualcosina dal punto di vista vocale, ma resta tuttora un ammaliatore di popoli come pochi altri sulla scena rock.

La prima parte del disco è sublime. La title track ha qualcosa (nelle parti di piano) di “SmallTown Boy”, con un incedere vagamente jazz che spiazza; la chitarra di “Disillusioned” fa venire in mente gli U2 nel ritornello, ma il registro stilistico è completamente diverso; “The Contrarian” è uno dei pezzi migliori del disco, perché è seducente, ha una costruzione finalizzata a tenere l’ascoltatore con il fiato sospeso per tutta la sua durata, gioco che si ripropone con una intensità più cruda nel singolo “The Doomed”, che è un pezzo con dei riff sopra i quali è impossibile non battere il piede.

“So Long, and Thanks for All the Fish” ci ricorda che gli APC possono fare anche “canzoni classiche” senza necessariamente perdersi dietro a una ricerca stilistica fine a se stessa. L’avrebbero potuta scrivere i Placebo. Con “TalkTalk” torniamo nel più classico dei repertori degli APC: bella chitarra che entra nel momento giusto e Maynard che a tratti sembra quasi suggerire, sussurrare.

Il finale dice che “Feathers” è un brano con un’atmosfera struggente e una chitarra molto espressiva che puntella alla perfezione il tormento di Maynard, mentre “Get the Lead Out” ha qualcosa di ipnotico. In conclusione: un disco che non fa prigionieri.

Review Overview

QUALITA' - 89%

89%

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