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KALIGOLA «Mai dentro un talent, Sanremo è stata una bella botta di adrenalina»

C’è arrivato in punta di piedi e se n’è andato con il premio per il Miglior Testo sottobraccio. Insomma, è stato un Sanremo 2015 da incorniciare per il giovanissimo Kaligola, che in attesa di capire che strada imboccare “da grande” è tornato a scuola a studiare, lasciando (temporaneamente?) le luci dei grandi palchi. Ma il giovane rapper capitolino ha idee abbastanza chiare…

Partiamo da Sanremo?

«Ok».

Spente le luci dell’Ariston, il lunedì dopo che hai fatto?

«Sono tornato a scuola: grande accoglienza da parte di tutti. Un bel rientro».

Dagli autografi di Sanremo agli autografi a scuola?

«I primi che ho fatto durante la settimana di Sanremo hanno lasciato il segno: è strano mettere la tua firma su un foglio di carta. Strano e gratificante. A scuola non ne ho fatti granché: giusto un paio per qualche compagno di classe».

A Sanremo c’erano Nesli e Moreno: il primo ha sfondato col rap prima di passare alla canzone d’autore, il secondo è figlio dei talent. Vi siete incrociati?

«Nesli non l’ho mai visto, mentre Moreno sì ed è stato piacevole scambiare un paio di battute con lui. Mi è sembrato positivo e simpatico, ma abbiamo parlato poco. Il Festival per sette giorni è un vortice di eventi ed emozioni, una bella botta di adrenalina e resta poco tempo per dialogare in relax».

A proposito di talent. A te non piacciono, vero?

«Non credo che mi troverei a mio agio in un contesto del genere: troppo reality e poca musica. Le storie personali vanno avanti per mesi e alla fine la musica è solo un pretesto. Molto meglio Sanremo: sali sul palco, fai la tua esibizione e non c’è altro da raccontare davanti alle telecamere della prima serata».

Nesli ha iniziato col rap e poi ha abbandonato la scena…

«Magari potrei farlo anch’io più avanti, in maniera meno netta. L’idea di abbinare l’hip hop ad altre influenze mi piace tantissimo e credo sia arricchente per il pubblico ma anche per l’artista, che in questo modo non si fossilizza troppo sulle sue cose».

Un po’ come fanno in America.

«Beh, in questo i rapper americani sono Maestri: sanno avvicinarsi persino al pop ma con stile, e non disdegnano le incursioni sonore in altri ambiti sia per sperimentare, sia per dare ulteriore varietà alla loro proposta sonora. Ecco, bisognerebbe guardare con più attenzione a certi esempi».

Il tuo modo di fare rap va in controtendenza rispetto alle mode del momento.

«Dici?».

Beh, non parli di droga, mignotte, non dici “zio” o “frate”…

«Parlo di droga ma senza elogiarla. Arrivo da un quartiere di periferia e certe cose le conosco, però che senso ha scimmiottare i rapper americani che parlano di una realtà distante dalla nostra migliaia di chilometri? A volte il limite dell’hip hop italiano è proprio quello di voler imitare negli eccessi i Maestri d’Oltreoceano. Ma siamo in Italia, ragazzi, non siamo negli States».

La scena capitolina ha sformato un sacco di nomi forti in ambito hip hop. Tu chi conosci?

«Personalmente non ho grosse conoscenze dirette. Di nome so chi sono Gemitaiz e Mezzosangue, fanno un genere di rap meno commerciale, più underground, alcune cose mi piacciono».

Il sogno di Kaligola qual è?

«Fare grandi concerti, davanti a tantissime persone, magari negli stadi».

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