NICCOLÒ AGLIARDI «De Andrè? Una persona sensibile, tremendamente sensibile»
«Gli eredi di De Andrè, Fossati, De Gregori? Non ci sono, ma noi, cantautori della nuova generazione, sogniamo un giorno di raggiungere certe vette di profondità». A parlare è il milanese Niccolò Agliardi, uno dei più talentuosi songwriter del Bel Paese. Uno che, giusto per inquadrare il personaggio, ha l’arte cantautorale tatuata sulla pelle, e non solo metaforicamente, dal momento che il titolo di una canzone di Fossati (“C’è tempo”) campeggia sul suo braccio. Ma non finisce qui: Agliardi si è fatto le ossa seguendo uno degli ultimi tour di De Andrè e si è laureato presentando una tesi su De Gregori e le sue canzoni.
De Andrè, Fossati, De Gregori. Tre artisti che hanno segnato la tua formazione artistica. Iniziamo da Faber?
«Volentieri. Bisogna tornare indietro di diversi anni: 1998, l’anno prima che Fabrizio morisse. Mi proposi come tuttofare al suo direttore di tour e fui preso. Fu un’esperienza bellissima, un continuo imparare qualcosa».
Com’era De Andrè distante dalle luci?
«Una persona sensibile, tremendamente sensibile. Un artista che, appena saliva il sipario, sapeva annullare ogni sua difficoltà con la sua voce, con quelle parole che andavano dritte come lame».
Perché sul braccio ti sei fatto tatuare il titolo di una canzone di Fossati?
«Perché “C’è tempo” fa parte di un album pazzesco come “Lampo viaggiatore”, e poi perché è una frase che racchiude al suo interno uno splendido invito di incoraggiamento. “C’è tempo” significa che quando la sconfitta arriva, prendiamola e ricordiamoci che non mancherà il tempo per risollevarsi».
Chiudiamo il tris con De Gregori…
«Fare la tesi di laurea sui luoghi reali e immaginari presenti nelle sue canzoni è stato un modo per conoscere ancora meglio la sua arte».
C’è chi definisce le liriche dei grandi cantautori come delle poesie che andrebbe insegnate a scuola, che ne pensi?
«Sarebbe una bellissima cosa, rimarcandone però l’origine: sono canzoni, e non poesie. Nelle intenzioni di un grande artista come De Andrè non c’era la volontà di finire sui libri di scuola, ma semmai la voglia di “trovarsi” nel proprio cuore e finire nel cuore degli altri».
Quindi le canzoni, anche quelle dal testo più bello, non le reputi poesie?
«No, canzoni e poesie sono cose differenti, sono due tipi di fame, un po’ come il gelato e la pizza: possono saziare, ma soddisfano un diverso tipo di appetito. E poi le percepiamo anche in maniera diversa: la poesia non ha bisogno di una musica e necessità della vista per essere letta, la canzone ha bisogno delle sette note e può essere percepita anche chiudendo gli occhi e lasciando libera la mente di immaginare».