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PIOTTA «Sono un cane sciolto, quello che ogni tanto arriva e crea scompiglio nel gregge»

Via i preamboli, Piotta, andiamo subito al sodo. La tua musica abbraccia oggi un ampissimo ventaglio di suoni. Ad ispirarla sono soprattutto nuovi ascolti o il recupero di vecchie fascinazioni?

«Ti rispondo usando una metafora, tanto semplice quanto efficace. La mia musica è come il mercato di Istanbul. Pieno di colori, di profumi, di prodotti appena arrivati sui banchi e di grandi classici. E’ come una ricetta che miglioro e ritocco sempre. Lo chef sono io, i prodotti sono bio, gli ingredienti me li offre la vita, tutti i giorni. Storie, racconti, letture, vecchi dischi in vinile, ma anche il web».

Non sono un nostalgico, odio la malinconia e guardo sempre al futuro, che trovo assai più stimolante del già visto e del già sentito. Per questo evito di ripetermi musicalmente. Creativamente detesto andare sul sicuro, lo trovo profondamente noioso

Ti sei affermato in un’epoca dove Twitter e Facebook non c’erano e un passaggio su VideoMusic poteva far svoltare le vendite. Hai nostalgia di quel periodo?

«Assolutamente no. Non sono un nostalgico, odio la malinconia e guardo sempre al futuro, che trovo assai più stimolante del già visto e del già sentito. Per questo evito di ripetermi musicalmente. Creativamente detesto andare sul sicuro, lo trovo profondamente noioso. E questo vale anche per la comunicazione. Sai che noia se stavamo ancora con VideoMusic. Ora invece posso fare i video che voglio, come e quando voglio. Se me li passano bene, viceversa li trovate comunque sul mio canale».

Un bel passo avanti…

«Da questo punto di vista c’è molta più libertà».

Il nuovo disco, “Nemici”, è figlio di uno stile consolidato. Ma come si crea uno stile, Tommaso? E’ un lavoro quotidiano? E’ talento? E’ ascolti su ascolti? Insomma, qual è il percorso che porta un artista a crearsi uno stile?

«Lo stile è nella tua testa. Se tu hai il carisma di una pecora e ti adegui al gregge non puoi pretendere di avere un seguito. Se viceversa sei fuori dal gregge le cose possono cambiare parecchio. C’è da capire poi in che ruolo giochi in questa scacchiera. Io per esempio non mi sento né il mansueto pastore, né il pastore maremmano che militarmente presidia il gregge. Semmai un cane sciolto, quello che ogni tanto arriva e crea scompiglio. Logicamente non è un ruolo semplice e ti devi assumere tutti i rischi del caso, vedi un titolo come “Nemici”, che certo non passa inosservato».

I motivi che ti hanno spinto a non partecipare all'”Isola dei Famosi 2015″ li hai spiegati bene e girano tutti attorno all’esigenza di non perdere credibilità. Ma guardando da casa le belle donne presenti, neppure un vago ripensamento? Dopo tutto ti offrivano dei soldi per passare un paio di settimane con la Rodriguez, la Caniggia e la Buccino…

«Non mi sembrano belle donne, ma non nel senso che non lo sono. Sono una persona educata e non direi così di nessuna donna. Non mi piacciono certi canoni estetici. Sono un diverso da questo punto di vista e lo canto in “BBW”, a proposito di polemiche velate dal sorriso e dalla solarità del reggae. Dell'”Isola” come dici ho già spiegato ed è metafora di altri 100 reality, alla fine uno vale l’altro».

Mi incuriosisce molto la posa delle tue foto promozionali. E’ rarissimo vederti sorridere. E’ una scelta che nasconde un significato?

«Con un titolo “Nemici” c’è poco da ridere. Comunque nel disco si ride anche ma sono risate di sarcasmo. Cito “Wot! (Capitano mio capitano!)”: “…i tempi sono bui ma io spento mai”».

Siamo il Paese dove il rap vola in classifica ma il dissing è rarissimo. Siete tutti amici nell’ambiente? Non ci sono invidie particolari fra di voi? Non lo trovi curioso?

«”Amici, che dici? Io veni, vidi, vici nemici!”. Non è la risposta alla tua domanda ma un’altra citazione dell’album, stavolta direttamente dalla title track. Per fortuna il moralismo degli Anni ’90 è finito. Prima tutti parlavano male di tutti alle spalle, salvo un paio di casi. Adesso finalmente lo si mette in rima. Sia chiaro, parliamo di parole, non di pistole. Parliamo di sarcasmo, non di insulto. Più sei bravo a fare questo più sei un mc vero, è dialettica, è ars oratoria dai tempi dell’antica Roma».

In tv il rap ha preso parecchio piede. E’ un bene che si sia guadagnato una vetrina mediatica così ampia?

«Sicuramente lo è per il conto corrente di alcuni. Al di là delle battute, ognuno dev’essere libero di fare quello che vuole, ci mancherebbe. Così come ognuno è libero di dire la propria. A me non piace il rap in questi contenitori, trovo che ne snaturino lo spirito alternativo, ribelle, meritocratico e dal basso. Ma oramai l’hip hop è questo, è il suo successo, è tutto ed il contrario di tutto. E all’interno le varie correnti e i cani sciolti come me ne tengono viva la fiamma anche grazie a queste dinamiche».

Tolto Piotta, quali sono i rappers che nell’ultimo periodo hanno portato qualcosa di davvero “fresco” alla scena italiana? E’ anche un modo per chiederti se ti piace ascoltare rap italiano.

«Io ascolto tutto per cui certo che sì, ascolto anche tanto rap italiano. Arrivano parecchi mp3 per la mia label (La Grande Onda, ndr) e direi che ci sono tante cose interessanti. Alcuni stanno già andando alla grande pur essendo diversissimi, penso a Mezzosangue, Willie Peyote, Marti Stone, Routy Miura».

Dopo la recente collaborazione con Afrika Bambaataa, chi altro hai nel cassetto dei sogni?

«Chuck D dei Public Enemy e, dopo tanti brani per il cinema, un’intera colonna sonora firmata da me».

Nel disco fa la sua comparsa un altro, che come te, ha spesso fatto scelte controcorrente in carriera, ovvero Brusco. Se non sbaglio vi unisce un rapporto di amicizia molto stretto, vero?

«Certo, e nel brano si sente. L’abbiamo scritto a quattro mani lavorandoci tanti giorni. Insomma, non è uno di quei feat tanto per. Nel disco tutti gli ospiti sono o sono diventati degli amici. Anche Bambaataa è venuto in studio e Captain Sensible anche sul set per girare il video. Giovanni, ovvero Brusco, è una persona libera come me. Che come me dice quello che pensa. Che santifica l’amicizia e frequenta ancora il suo, che poi è il nostro, quartiere, i compagni di scuola e di vita, pur continuando ogni anno a tenere tantissimi concerti in tutta Italia. Per me questo è essere un vero artista, non c’è plastica o finzione. La libertà non ha prezzo ed è quello che cantiamo in “Anvedi”».

In “7 Vizi Capitale” parli di Roma. E’ una città che riesce a stimolare ancora la tua ispirazione? E soprattutto, quanto è cambiata in questi anni?

«E’ cambiato tutto, non solo a Roma. E’ cambiato il mondo e noi siamo narratori del nostro tempo, nessuno escluso. Chi con un post, chi con un pezzo, chi con un quadro, chi con una foto. Roma è metafora di un intero Paese, cinico e disincantato come nel piano sequenza di “7 Vizi Capitale”».

A distanza di anni, che ricordi conservi dell’esperienza al Festival di Sanremo 2004? E’ una di quelle cose da fare una sola volta nella vita?

«Ti dico la verità. Sì, da fare una sola volta ma con alcune eccezioni. Nel mio caso al momento della chiamata ho scoperto che a mia madre sarebbero improvvisamente restati 3 mesi di vita. Devastante. Ho fatto un Festival completamente sottotono perché non volevo alimentare in alcun modo ulteriore stress in famiglia, e non potevo certo godermi nulla. Se in futuro dovesse ricapitare – conclude Piotta – me lo vivrei con lo spirito giusto».

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