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GIOVANNI SUCCI «Coi Bachi da Pietra abbiamo seminato tanto e credo bene»

Era il 2005, sembra ieri, o forse no. I Bachi da Pietra sono nati dall’incontro quasi fortuito tra un Giovanni Succi che aveva da poco sciolto i Madrigali Magri e un Bruno Dorella alle prese con progetti vari e un girovagare continuo, incessante. Dieci anni dopo, è tempo di “Habemus Baco” (Wallace Records/La Tempesta), un ep di tre pezzi che celebra e auto celebra. E che in un certo senso segna anche la strada futura dei Bachi da Pietra.

La prima cosa che voglio chiederti, Giovanni, è legata ovviamente ai primi 10 anni del tuo sodalizio con Bruno Dorella. Che periodo è stato? 

«Un gran bel periodo, sicuramente cruciale nella mia vita, in positivo. Abbiamo seminato tanto e credo bene».

Cos’hai imparato in questo decennio?

«Ho imparato che non finirò mai di pagare per fare il mio mestiere».

Il 2015 ti ha visto anche omaggiare Paolo Conte con un disco. Quel tipo di “canzone d’autore”, oggi, sembra non avere eredi. O forse li ha?

«O forse ne ha troppi? Dipende da cosa si richiede ad un autore per considerarlo “erede”. Se aderisci a determinati cliché sei immediatamente riconosciuto come “autore” elevato a potenza (“cantautore”), e male che vada una botta di “erede” non te la nega nessuno. Diversamente non sei nemmeno percepito come autore».

Sai se il Maestro ha ascoltato qualcuno dei tuoi brani?

«Purtroppo non lo so. Mi sarebbe piaciuto molto… Chi lo sa, magari ci sarà ancora un’occasione. Non ho osato rompergli le palle direttamente dopo averlo già fatto un paio di volte, venticinque anni fa. Non volevo essere invadente. Siamo piemontesi».

Come va visto questo nuovo ep: come un punto e a capo, una celebrazione, oppure come l’antipasto in vista di qualcosa di nuovo? State lavorando a qualcosa di nuovo?

«Una sfacciatissima auto celebrazione. Tre tracce: “Habemus Baco” parla di noi: passato, presente, futuro; “Tutta La Vita” dura due minuti e “Amiamo La Guerra” è la prospettiva. Poi si torna a testa bassa. Verrà una nuova micidiale offensiva degli insetti contro il genere umano. Micidiale per noi, ovviamente».

La mia scrittura? Non nasce in un modo preciso, ma ricerca la precisione. Come esercizio mentale è incessante, poi, se penso ne valga la pena, prendo appunti a matita

Spesso i tuoi testi partono da un particolare per poi aprirsi a ventaglio. La tua scrittura come nasce di preciso? E’ un esercizio quotidiano?

«Non nasce in un modo preciso, ma ricerca la precisione. Come esercizio mentale è incessante, poi, se penso ne valga la pena, prendo appunti a matita. Ma prima di finire sulla pietra i testi subiscono ancora infinite rimasticature e cataclismi».

Ti va di parlare della scena indipendente italiana oggi?

«Non sono il più indicato a risponderti, dovresti chiedere a Bruno Dorella, è lui la star cosmopolita, il giramondo che vive in Romagna. Io sono talvolta in Cc nelle email».

Allora parliamo di Dante e delle sue opere. So che sei un suo grande appassionato. Nella “Divina Commedia” in che luogo metteresti i Bachi da Pietra a suonare?

«Sotto lo scroto di Lucifero, dove si capovolge (continuamente) il mondo e da sopra ti ritrovi sotto e da sotto ti ritrovi sopra. Il cambio di prospettiva: vero tabù nazionale. Vietatissimo. In qualsiasi ambito».

Leggendo una tua intervista, ho scoperto che fai coincidere l’inizio della tua età adulta con la scoperta di Tom Waits. Quali altri musicisti hanno segnato in maniera così potente la tua vita?

«In modo così potente pochi; mi piace citare solo Tom Waits perché rappresenta il capovolgimento copernicano. Potrei aggiungere Portishead o Pan Sonic, che mi hanno introdotto all’elettronica».

Ti piace l’elettronica?

«Un tempo pensavo non mi piacesse; e invece mi piaceva e non lo sapevo».

“Siamo infami, ladri, bugiardi e spacciamo come tutto nostro un mondo che esiste da sempre per chiunque”. Questo dicevi nel 2013 per descrivere i Bachi da Pietra. Oggi cambieresti le coordinate?

«No, se non in peggio».

Qual è il testo di cui Giovanni Succi va più orgoglioso fra quelli scritti in carriera?

«L’orgoglio è un sentimento privato che in pubblico ti ribalta in un attimo da orgoglioso a orgoglione. Credo di aver fatto tutto sommato un buon lavoro, ma il migliore è quello che non riesco a scrivere. Il testo resta un mio limite».

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