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JUSTIN TIMBERLAKE «Ho lavorato a lungo su questo album e mi sono ritrovato con 100 canzoni»

Justin Timberlake si è unito di recente a Zane Lowe su Apple Music 1 per celebrare l’uscita del suo nuovo singolo, “Selfish”, reduce da un’esibizione dal vivo a Memphis dove ha presentato per la prima volta il brano.

Justin chiacchiera con Zane Lowe dando qualche anticipazione a ciò che i fan possono aspettarsi dal suo prossimo progetto, “Everything I Thought It Was“. Spiega come ha dovuto ridurre a 18 le canzoni dell’imminente album tra le 100 che aveva registrato, quali emozioni ha suscitato questo lavoro e come è soddisfatto del risultato raggiunto.

Justin Timberlake parla del suo prossimo album e dell’origine del titolo.

«Penso che ci siano momenti di grande onestà, ma anche un sacco di divertimento in questo album. Credo che il titolo dell’album sia nato da lì, da tutto quello che pensavo che fosse. Lo stavo suonando per le persone intorno a me. Mi dicevano: “Oh, questo suona come tutto ciò per cui ti conosciamo”. E poi un altro mio amico ha detto: “Questo suona come tutto ciò che pensavo di volere da te”. Era come se questa frase, in un modo o nell’altro, fosse nell’aria. E ho pensato a come alcune canzoni siano più introspettive e altre più simili a quelle per cui penso che la gente mi conosca».

Sulla registrazione di 100 canzoni e sulla necessità di ridurle a 18 per l’album.

«Ho lavorato a lungo su questo album e mi sono ritrovato con 100 canzoni. Quindi è stato necessario ridurle a 18 e poi… sì, sono davvero entusiasta di questo album. Credo che ogni artista lo dica, ma è il mio lavoro migliore».

La musica come contenitore e l’ispirazione per il singolo “Selfish”.

«È questo il bello della musica… è un contenitore che ci aiuta, come esseri umani, a esprimere noi stessi. Anche se non l’hai scritta tu, trovi una relazione con quell’emozione, che mi ha portato al primo singolo. E nello scrivere quella canzone, il momento in cui è successo è stato alle due del mattino. Un mio amico, che è anche il mio direttore musicale, che probabilmente è un amico di tutta la famiglia a LA, Adam Blackstone, stava facendo queste piccole serate jazz in un posto a Los Angeles. Mi ha invitato a venire e mi ha detto: “Ehi, amico”. Mi ha detto: “Vuoi venire a cantare qualcosa?”. E io ho buttato lì a caso: “Oh, sì, facciamo la cover di Donny Hathaway di Jealous Guy di Lennon”. E, a proposito, se sei un gen-Zer in questo momento, non hai idea di chi sto parlando! Stavamo parlando della canzone e di qualcosa che non si sente spesso dagli uomini, quando esprimono un’emozione che li rende vulnerabili. E poi, crescendo come sono cresciuto io, ti insegnano a non farlo. E così… mi è sembrata una canzone davvero onesta. I testi hanno iniziato a venire fuori in modo onesto. E quando ho ascoltato l’intero album ho pensato che, tra tutte le canzoni che inserirò, dal punto di vista della produzione, è probabilmente la più semplice (nonostante sia “complessa” nella sua semplicità)».

Quando ha suonato la canzone per la prima volta a Memphis, il giorno prima del compleanno di sua madre.

«È stata una bella sensazione. I fan presenti in sala ne hanno sentito un frammento, è stato bello cantarla dal vivo. Ed è stato anche interessante. C’era un ragazzo che stava vicino ai primi posti che continuava a dire: “Ancora, ancora, ancora”. E io: “Senti, amico, c’è il coprifuoco. Prima o poi dovremo andarcene da qui!”. È stato davvero bello! Avevo programmato lo spettacolo, e si sarebbe potuto fare un listening party o altro, ma poi, se sei lì, perché non suonare la canzone dal vivo? Così ho lavorato con la band e l’abbiamo suonata dal vivo. L’intera serata è stata così piena di anima e di amore… l’atmosfera che si respirava nella sala era davvero speciale. Anche per quanto riguarda l’Orpheum, il teatro di Memphis, mia madre mi ci portava quando gli spettacoli di Broadway erano in tournée. C’è un frammento di un video che ho pubblicato in cui sono seduto sulle poltrone il giorno prima delle prove e sto fissando il palco. E cercavo di ricordare che c’era uno spettacolo, credo fosse “Cats” o qualcosa del genere, avrò avuto otto o nove anni… ricordo che avevamo i posti a sedere sul pavimento, e per me è stato davvero sbalorditivo vedere una produzione simile in un teatro a quell’epoca. Sì, avevo molta nostalgia, molti ricordi che riaffioravano. Ed è stato anche molto speciale, perché la sera dopo lo spettacolo era il compleanno di mia madre».

Sul potersi esprimere con la musica ed essere soddisfatto delle emozioni che arrivano dall’album.

«È davvero una bella sensazione, i pensieri, le emozioni e i sentimenti che mi sono venuti in mente scrivendo queste canzoni e le persone con cui ho collaborato e con cui ho potuto condividere questi momenti. In alcune canzoni mi sembra di essere stato in grado di guardare al passato e di avere una prospettiva reale, non rifratta, di ciò che è stato, perché si sente sempre dire che non c’è mai verità, c’è solo la prospettiva di ognuno di noi su ciò che è successo, ma guardarlo davvero e riuscire a metabolizzare e verbalizzare la mia prospettiva su di esso, non credo di averlo mai fatto prima».

La puntata si può ascoltare qui: https://music.apple.com/it/station/justin-timberlake/ra.1724854969

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