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BEATRICE ANTOLINI «Non ho niente, non sono niente ma ho la pace nel cuore e la luce negli occhi»

Un EP appena uscito dal titolo “Beatitude” (La Tempesta International) e un disco a cui pensare: «Tra un mese inizio a lavorarci». Corre veloce, Beatrice Antolini. Ma lo fa senza perdere di vista ciò che le accade attorno. E attorno c’è essenzialmente vita, quel tipo di vita che non fa clamore e che non diventa gossip. Troppo facile creare un parallelismo tra il suo “Beatitude” e una sorta di… beatitudine raggiunta oggi dalla ragazza di Macerata. Valutate voi se è il caso…

 

Partiamo da “Beatitude”, cosa rappresenta: la strada verso un nuovo percorso oppure il proseguimento di un viaggio già intrapreso?

«”Beatitude” rappresenta l’Adesso e l’Ora. Il mio viaggio è la mia esistenza e i dischi sono la polaroid di un momento preciso e definito. In questo periodo sono esattamente come “Beatitude” che è la mia proiezione fatta materia. Una rappresentazione dell’anima. Ricevuta, amata e donata».

Nel nuovo EP c’è un pezzo dal sapore “pop”, mi riferisco ad “Anyma L”, che arricchisce il compact. Che rapporto hai col pop e coi generi musicali in generale?

«Amo tutti i generi musicali e ho sempre accolto ogni sfumatura senza mai chiudere le porte. Non mi piace scegliere, la scelta mi limita, preferisco accogliere qualsiasi colore, perché in fondo mi piacciono tutti i colori e tutti i suoni, senza preferenze, senza limiti intellettuali e culturali. In realtà il processo di scrittura e arrangiamento è automatico e per niente mentale».

Proprio quel brano è stato lavorato anche da Federico Poggipollini, uno che il pop lo frequenta da anni con Ligabue. Com’è nato il pezzo e che valore ha all’interno dell’album?

«Conosco Federico e mi sono affezionata a lui soprattutto per la persona al di là del musicista (chitarrista eccelso). Era già da un po’ di tempo che volevamo fare qualcosa insieme ma volevo il brano adatto, il brano nel quale avesse carta bianca per arrangiare una splendida parte di chitarra, e ne ho scritto uno apposta, “Anyma L”».

Parliamo di pop, Ligabue e la mente va al Festival. Ti sei mai immaginata sul palco di Sanremo?

«Certo, senza problemi, non ho pregiudizi, non servono a niente».

La mia immagine? Gli ho dato sempre troppa poca importanza per paura che si parlasse più di quello che del mio lavoro. Ora non voglio rinunciarci più. E’ come se non avessi più paura di mostrarmi. Ben venga anche la cura dell’immagine

Usi in maniera essenziale i tuoi profili social. Non ti piace questa forma di comunicazione?

«Perché dici essenziale? Pubblico tantissime cose. Sempre solo relative alla musica e al mio lavoro di musicista. La vita privata è nel mio scrigno, protetta e preziosissima».

Il tuo nome è da anni sinonimo di qualità nella scena indie italiana. Non credi però di aver raccolto molto meno di quanto seminato finora? 

«Ho imparato a vivere evitando i “se” e i “ma”, la mia condizione è questa, ne sono felice, ringrazio ogni giorno, mi impegno al massimo e cerco di donare e ricevere il massimo, ho capito che la lamentela porta solo in basso, il continuo voler qualcosa di più o qualcos’altro, bisogna imparare ad apprezzare anche le piccole cose. Io amo tutto, con tutto il mio cuore, è questa la mia forza. E’ questo che non mi fa dormire la notte per l’emozione del giorno dopo. Sono sempre curiosa e non c’è nulla di scontato. E’ tutto un dono. L’esistenza lo è».

Che percezione hai dei tuoi vecchi lavori?

«Mi piacciono molto e a volte mi stupiscono anche; con tutti i loro limiti, adesso, riesco ad apprezzarne proprio i limiti e a considerarli… “perfetti”, li accetto totalmente. Sono una parte di me».

Più facile definire la musica che ti piace o i brani che ti hanno ispirato?

«Ti posso parlare di musica che mi piace, ti posso parlare dei dischi che amo, ma non mi piace parlare di influenze. La musica entra dentro, ti cambia, ti modella, può addirittura condizionare il tuo fisico, far salire la pelle d’oca, farti piangere. Ma la scrittura per me è un processo alchemico. E la musica che ho ascoltato nella mia vita c’entra fino a un certo punto. Comunque se devo proprio fare nomi: Beatles, Queen, Pink Floyd, Arvo Pärt, Led Zeppelin. Le canzoni? Quasi tutte».

Che ambiente è – per una donna – quello della musica in Italia? C’è maschilismo?

«Ti ripeto, odio lamentarmi e odio i gossip. La vita è dura per tutti: maschi, femmine e soprattutto omosessuali. Forse sono proprio loro ad avere le problematiche più grandi ancora, purtroppo».

Se digiti il tuo nome su Google e sfogli “immagini”, appaiono decine e decine di te con look differenti. Che rapporto hai con la tua immagine?

«Gli ho dato sempre troppa poca importanza per paura che si parlasse più di quello che del mio lavoro. Ora non voglio rinunciarci più. E’ come se non avessi più paura di mostrarmi. Ben venga anche la cura dell’immagine».

Cosa ti rende felice in questi tempi di crisi?

«Il fatto di non sentirmi assolutamente in crisi ma piuttosto in “Beatitude” e credimi, è qualcosa che potrebbero riuscire a fare tutti, non bisogna abbandonarsi alla tristezza e alla depressione, la gioia non dipende solo dalle questioni economico/sociali, potenziamo e difendiamo la felicità, la vita, la gioia per le piccole cose, combattiamo contro chi ci vuole tristi, malati e macchine da consumo. Ritroviamo noi stessi. Non ho niente, non sono niente ma ho la pace nel cuore e la luce negli occhi».

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