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FRANCESCO BELLUCCI «Mi sforzo di non avere paura di mostrare le mie più vergognose perversioni»

Con “Situazioni sconvenienti”, suo secondo lavoro, Francesco Bellucci si è confrontato a viso aperto con il rock e con l’essenza stessa del “fare rock”, cioè raccontare cose, storie, emozioni in maniera diretta, senza filtri o volontà di assecondare l’ascoltatore. Il singolo “Stanotte uccido mio padre” già dal titolo può sembrare una forzatura, una maniera ruffiana per attirare l’attenzione, ma dategli una chance: è una delle canzoni migliori di questo 2020.

https://www.youtube.com/watch?v=pDVeO6DSn5A

Nella tua scrittura e nella tua arte c’è molto di Vasco Rossi. E’ un riferimento che ha segnato la tua formazione oppure è una lezione dalla quale non si può prescindere se in Italia fai rock?

«Entrambe le cose. A 3, 4 anni mio padre mi faceva ascoltare i suoi dischi. Rock ’n roll come “Lucille” di Little Richard, “Let’s Twist  Again” di Chubby Checker, Otis Redding, Elvis, ecc. Aveva tutti i volumi dell’enciclopedia del rock, un’edizione meravigliosa che conteneva i vinili di questi grandi artisti corredati da enormi libroni in cui era raccontata tutta la storia e l’evoluzione di quella musica. Mio papà mi aveva riversato in cassetta le canzoni per paura che rovinassi i dischi. Vasco è arrivato alle mie orecchie molto dopo. Ascoltavo già cantautori come Guccini e De André, amavo la loro narrazione, ma la musica mi pareva muffa, non mi faceva battere il piede come il rock ’n roll. A 8 anni ero convinto che la musica italiana non avesse verve, poi ho sentito per la prima volta “Non l’hai mica capito” di Vasco Rossi e mi si è aperto un mondo. Il rock si poteva fare anche in italiano e aveva groove».

“Stanotte uccido mio padre” sembra ispirarsi un po’ ad alcuni grandi casi della cronaca italiana. Penso in questo senso alla vicenda di Pietro Maso. In qualche modo la cronaca ha suggerito il tema oppure la canzone è semplicemente un’allegoria del rapporto padre/figlio?

«Come nel caso della domanda precedente, c’è del vero in entrambi i casi. Ho raccontato l’incomunicabilità con i miei. Giocando con le parole ho raccontato una storia drammatica e sconcertante come se ne sentono troppe. Volevo, però, sfruttare questo incipit per fare anche qualche riflessione. Osservare i meccanismi mediatici che permettono ad un criminale di diventare un autore best seller. I limiti e le complessità di un sistema giudiziario che a volte fatica, appunto, ad emettere un giudizio e non finisce qui. “Stanotte uccido mio padre” è una canzone estremamente densa. Merita di essere ascoltata con un po’ di attenzione».

Il disco affronta tematiche complicate, penso appunto all’omicidio nel singolo, all’adolescenza in “Chiara”, al concetto di amicizia. Qual è stata la linea che hai voluto tenere per non cadere nella retorica o nella banalità?

«Riverso nelle canzoni quello che provo veramente. Ogni canzone parla di me anche quando non sembra. Scavo nelle mie miserie (che poi sono le stesse per tutti noi), lo faccio ossessivamente con il solo scopo di scoprirmi, di conoscermi. Non cerco il consenso altrui… cerco me stesso. Mi sforzo di non avere paura di mostrare i miei conflitti, le mie ferite e – perché no? – anche le mie più vergognose perversioni. Vergognarsi o avere paura di esprimere i propri sentimenti la trovo una cosa estremamente sciocca. Sono fiero di quello che sono e ogni canzone che scrivo mi avvicina alla mia vera essenza».

Il tuo disco ripesca a piene mani un certo rock che in Italia si è un po’ annacquato nell’indie. Qual è la tua opinione sull’indie, appunto, ma anche sulla trap che oggi sembra il nuovo linguaggio rock per i giovanissimi?

«Pop, Trap, Indie… è la conseguenza di scelte arrangiative. E’ solo un vestito. Non posso valutare una donna dal vestito che indossa. Valuto la donna. L’essenza è ciò che mi interessa. Esiste musica mediocre e musica fatta come dio comanda. L’eccellenza richiede fatica, disciplina, studio, metodo, allenamento e applicazione. Tutte cose sconosciute ai più. La mediocrità è più facile e costa meno».

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