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KUTSO «Al Festival di Sanremo per proporre la nostra robaccia»

«Se dovessimo vincere ci presenteremo in tv completamente cosparsi dalla testa ai piedi di fiori sanremesi. Ovviamente sotto saremo nudi». Parola di Matteo Gabbianelli, cantante dei kuTso. La band composta da Simone Bravi alla batteria, Donatello Giorgi alla chitarra e Luca Amendola al basso ha già fatto partire il conto alla rovescia in vista della partecipazione alla prossima edizione del Festival di Sanremo nella categoria “Giovani”.

 

Iniziamo proprio da Sanremo. Essere stati selezionati vi ha sorpreso? 

«Quando abbiamo saputo di essere dentro i sei selezionati, è stata una liberazione, perché non dormivamo da circa 4 giorni».

Con che spirito avete partecipato alle selezioni?

«Inizialmente, quando la nostra casa discografica ci ha proposto di partecipare, l’abbiamo fatto con molta leggerezza, senza aspettative, semplicemente con l’idea di non recriminare nulla e per non dirci un giorno “…ah, se avessimo provato”».

L’obiettivo per noi è divulgare il nostro progetto ad un pubblico vasto. Non ci interessa la competizione, quanto l’opportunità di esprimere noi stessi in totale libertà nel contesto ufficiale più importante d’Italia

Negli anni il teatro Ariston è stato un magnifico trampolino di lancio per molti: siete più eccitati per l’esibizione con l’orchestra oppure spaventati dall’idea di passare su quel palco come una meteora?

«L’obiettivo per noi è divulgare il nostro progetto ad un pubblico vasto. Non ci interessa la competizione, quanto l’opportunità di esprimere noi stessi in totale libertà nel contesto ufficiale più importante d’Italia. Saliremo sul palco con il preciso intento di fare esattamente ciò che facciamo ai nostri concerti, ovvero divertirci godendo di ogni istante. Il futuro non è scritto e non ci interessa più di tanto, per quanto le persone progettino strategie crogiuolandosi nei sogni, non possiamo che vivere il presente e dare il meglio di noi stessi cercando di non avere rimpianti».

Il vostro nome ha grafie e pronunce diverse. Com’è nato e come credete verrà pronunciato in prima serata a febbraio?

«E’ nato nel periodo del liceo. Mi piaceva scrivere parolacce sui banchi camuffandole con una grafia “simil-inglese”. Non sappiamo in effetti come verrà pronunciato, ma è chiaro che ormai sanno tutti come ci chiamiamo, quindi crediamo che il momento della nostra presentazione sarà accompagnato da un divertente imbarazzo».

Si va a Sanremo per diventare famosi?

«Noi andiamo a Sanremo per proporre la nostra robaccia e, in base a ciò che avverrà dopo il Festival, verificare se sbagliamo a sentirci la miglior band che la musica italiana possa proporre in questo squarcio di millennio».

Nella vostra musica convivono Gaber e Michael Jackson e tante altre fascinazioni. Cosa non c’è?

«Non ci sono le interminabili suite prog degli anni ’70, non c’è la retorica melensa che caratterizza una parte importante della Canzone Italiana, non c’è il piagnisteo soporifero di molti cantautori indie, né l’ipocrita ostentazione di umiltà dei gruppi rock alternativi italiani».

Se capiterà, con quale artista del cast dei big farete un “selfie”?

«Alex Britti, che conosciamo personalmente da prima che diventasse una popstar. Trovarsi a Sanremo con lui dopo tutti questi anni è un piacevole evento che non avremmo mai creduto possibile».

I vostri live sono spesso una sorta di festa collettiva. Il pubblico dell’Ariston, però, è noto per la sua compostezza. Cambierà qualcosa nelle vostre esecuzioni sanremesi?

«Assolutamente no, cercheremo di svegliarli, ma se non ci riusciremo sarà ancora più divertente il contrasto tra il palco calcato da 4 pazzi scalmanati e la platea freddamente imperturbabile».

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