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UMBERTO MARIA GIARDINI «L'unica chiave di lettura giusta ed equilibrata in questo difficile momento è pensare»

Forse non ha anticipato o predetto queste giornate, ma nella sua carriera Umberto Maria Giardini (già Moltheni una vita fa, e tante altre cose di recente) ha sempre filtrato il nostro mondo con una sensibilità tale da farlo risultare a volte più bello, a volte migliorabile, a volte imperfetto. «Le mie risposte a questa intervista? Sembrano apocalittiche-pessimiste, ma credetemi, non lo sono. Sono un po’ come me, con i piedi per terra e con una messa a fuoco della realtà, spero oggettiva».

Pensi che questa situazione e questo riscoprirci terribilmente vulnerabile davanti a un nemico invisibile possano portare – alla fine – a qualcosa di nuovo, a una presa di coscienza (dei singoli) diversa rispetto al passato?  

«La presa di coscienza della realtà oggettiva non corre nello stesso binario del buon senso e di una eventuale nuova lettura del senso della vita. Le persone seguiranno quello che, chi detiene il potere mediatico, imporrà. La televisione avrà sempre più un ruolo guida nella mente delle persone e lo stesso faranno gli sponsor approfittandone, così come la rete, gli investitori, le multinazionali. Chi si fermerà a pensare scegliendo la strada del rallentamento, saranno pochissimi e comunque una grandissima minoranza. Il resto della massa, priva di consapevolezza, sarà ancora più incapace di prima nel rinunciare alla vita di prima».

Che ruolo può avere, oggi, in questo momento, un artista: intrattenere comunque il pubblico usando i mezzi a disposizione, oppure cercare di elaborare questi giorni provando di conseguenza a dare – tramite l’arte – una chiave di lettura?

«Chi si occupa di arte (nella fattispecie di musica) cercando di intrattenere il pubblico con giornalieri post e filmatini mentre suona, mi fa davvero ridere. Ovviamente la maggior parte delle persone ha bisogno di questo, soprattutto quelli che stanno davanti al cellulare tutto il giorno; di conseguenza gli “artisti” sull’onda delle buone, sane, spesso false intenzioni, colgono l’occasione per mettersi in mostra e dire “tranquilli la musica e l’arte ci salveranno” o come va di moda… “andrà tutto bene”. L’unica chiave di lettura giusta ed equilibrata in questo difficile momento a mio avviso è pensare. Cercare di capire cosa siamo diventati e cosa saremo domani in un mondo diverso, forse migliore, forse no».

Da cittadino, invece, come stai vivendo questo momento così particolare e carico di tensioni? 

«Vivo alla giornata in maniera serena e, nei limiti, organizzata, assieme alla mia famiglia, nella nostra casa a Bologna. Io e la mia compagna cerchiamo di seguire nostro figlio e tentiamo di scandire il tempo con cose da fare, diverse ogni giorno. Io essendo un grande casalingo non lo percepisco come un sacrificio insormontabile, mi sento abbastanza a mio agio. E’ pur vero però che vedere un bambino segregato tra le mura di casa tutto il giorno senza godere della natura, delle passeggiate al parco e delle piccole cose che fanno tutti, mi abbatte un po’. Come molte persone seguo le direttive del governo, sperando che tutto questo finisca presto».

Chiusi in casa, e talvolta in una condizione di solitudine terribile, cosa può avvicinarci alla felicità?

«La ricerca della felicità, per chi ha meno di trent’anni oggi, è un processo molto complicato, spesso irraggiungibile. Restare chiusi in casa non aiuterà di certo a migliorare il proprio umore. In una condizione  repressiva e imposta, nessuno può guadagnarne un giovamento. Inutile girarci attorno, minimizzare o illudersi di una cosa che non è vera. La rete e la tv percorrono una strada che nella loro trasformazione nel tempo non prevede ne prevederà un via di ritorno. Il male non sono la rete o la tv in sé, il male è tutto ciò che entra nella rete condizionando la mente e il cervello già compromessi delle persone e dei giovani. Stessa cosa per la tv, diventata perlopiù spazzatura h24. La felicità non è un passaggio su facebook, né un quiz in prima serata».

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