AIM «Cantare in italiano? E' stata più una sfida che un'esigenza vera e propria»
“Finalmente a casa” è il primo lavoro interamente in italiano per gli AIM, la band di Marco Fiorello e dei gemelli Camisasca. Un disco che sa di cambio di rotta per il trio brianzolo, che si è fatto assistere in questa nuova avventura da Fabrizio Pollio degli Io?Drama, dopo la fortunata esperienza con Federico Dragogna dei Ministri. Ma scopriamo nelle parole di Marco Fiorello, qual è la nuova rotta e se davvero esiste.
Partiamo dalla produzione, Marco: da Dragogna a Pollio cos’è cambiato?
«Fabrizio ha iniziato a collaborare a produzione già avviata. E’ stato sicuramente un innesto di entusiasmo e di energia, oltre che di creatività. Il lavoro più sostanziale che ha svolto è stato aiutarmi a ragionare e sviluppare al meglio le linee vocali. Mi ha seguito molto attentamente e sapientemente durante la registrazione delle voci. Quello che mi rimane dalla collaborazione con lui è sicuramente il grande entusiasmo che mette in ogni cosa che fa. C’è da imparare. Con Dragogna il discorso è stato diverso. Abbiamo lavorato molto con lui sull’arrangiamento, sulla struttura dei brani. E devo dire che anche qui ho imparato molto. Rispetto alle voci mi dava qualche input ma il lavoro di sviluppo delle linee melodiche era fondamentalmente personale. Durante la registrazione mi ha seguito molto bene, con professionalità. Per concludere direi due approcci totalmente differenti: Pollio, cuore; Dragogna, testa».
La scelta dell’italiano credi sia definitiva? In quale forma riesci ad esprimere meglio i tuoi testi?
«Non penso che la scelta dell’italiano sia definitiva. E’ stata più una sfida che un’esigenza. Sono della scuola Elliott, The Appleseed Cast, Copeland e quindi il modo in cui riesco a esprimere al meglio ciò che voglio dire è attraverso la musica, l’atmosfera e mi piace piegare la voce a colore, a sfumatura piuttosto che a protagonista della canzone. Vedremo cosa succederà col prossimo lavoro».
Un artista deve sempre spingersi oltre il suo limite se vuole evolversi, se vuole migliorare, se vuole fare qualcosa di veramente originale. E questo processo è molto faticoso
C’è più intimità in questo nuovo lavoro, e anche il titolo tende ad esprimerla col concetto di “casa”. L’intimità significa anche guardarsi dentro in maniera più profonda e spietata. Tu cos’hai scoperto in questo processo?
«In primo luogo ho scoperto di essere in grado di fare cose, parlo di un disco interamente in italiano, che non mi sarei mai sognato di fare o che mai avrei pensato di avere le capacità di fare. Questa è la cosa che più mi rimane. Un artista deve sempre spingersi oltre il suo limite se vuole evolversi, se vuole migliorare, se vuole fare qualcosa di veramente originale. E questo processo è molto faticoso. Ho sputato sangue per creare “Finalmente a casa”, ma ne è valsa la pena. Infatti penso che sia il lavoro più sincero che io abbia mai fatto. Ma per confezionare lavori sinceri, personali è necessario un grande sforzo».
In passato Matteo Camisasca, uno dei componenti del gruppo, durante un’intervista mi parlò del tuo forte rapporto con la Fede. E’ ancora attuale e in che misura il Credere aiuta a essere persone migliori?
«La Fede non mi rende una persona migliore. Cado anch’io tante volte ogni giorno. Credere rende solo più chiara la strada giusta da percorrere. E per strada giusta intendo quella che più corrisponde alle esigenze del mio cuore».
Per sdrammatizzare, fingiamo esista un Dio della Musica: come si è comportato finora con gli AIM?
«Direi che si è comportato molto bene perché, attraverso le centinaia di esperienze che ci ha fatto fare, ci ha fatto arrivare al cuore di ciò che significa suonare. Ovvero più continuo a suonare, più suono per me e soltanto per me. E’ una mia esigenza. Più si va avanti, più la domanda “Perché lo fai?” è urgente. E se si dimentica questo aspetto, suonare, fare arte perde di significato. Per intenderci. Durante un concerto io do tutto sia davanti a una persona che davanti a mille persone. E’ questo che poi fa la differenza».
In inglese il vostro nome vuol dire “avere uno scopo”, “puntare a qualcosa”. A quali obiettivi credi che gli AIM dovrebbero puntare da qui in avanti?
«Direi continuare a fare ogni cosa con sincerità, amore e dedizione».
Quali sono gli artisti che ti hanno influenzato nella tua crescita artistica e di conseguenza hanno influenzato anche il suono degli AIM?
«Sicuramente nelle mia adolescenza album come “Nimrod” dei Green Day e “Smash” degli Offspring hanno avuto una certa importanza. Ma anche dischi di band come The presidents of the U.S.A., Toy Dolls, The Queers e tutta la scena hardcore punk californiana degli Anni Novanta con gruppi come Good Riddance, Lagwagon, ecc. Questa costituisce sicuramente la parte più rock e più ruvida degli AIM. L’altra anima degli AIM è costituita da band sicuramente meno aggressive e con atmosfere più dolci e dilatate. Fondamentali per me sono stati, e lo sono tuttora, album come “Song in the air” degli Elliott o “Two conversations” dei The Appleseed Cast, ma anche band come Copeland, Sigur Rós, The National, Dry the river. Ecco, gli AIM sono come la sintesi tra questi due estremi e io sono l’imbuto attraverso cui queste diversità si miscelano e trovano una nuova unità».
Dragogna e i Pollio non hanno mai chiuso le porte al Festival di Sanremo. Ti sei mai immaginato su quel palco? Credi possa essere un obiettivo realistico?
«No. Non condivido il Festival e soprattutto mi fa ribrezzo il moralismo di cui è pervaso».
Crisi, terrorismo, crollo degli ideali, la politica che è sempre più un corpo estraneo rispetto alla quotidianità. Se non sbaglio tu hai dei figli e lavori molto coi ragazzi. Insomma, in una certa misura hai investito nel futuro. Cosa ti fa credere che il domani sarà migliore di oggi e che tipo di padre sei?
«Ad oggi ho due figli. Uno di quattro anni e l’altro di uno. Non sto ad aspettare che il domani sia migliore di oggi. Io credo che l’oggi debba essere migliore del domani. E mi comporto di conseguenza. Cerco di vivere ogni giorno con la consapevolezza che “Ogni istante è donato” e che nulla è scontato. Da qui ne consegue che tipo di padre e di insegnante sono».
Qual è il ruolo dell’artista, oggi: saper intrattenere per distrarre l’ascoltatore dalle brutture del quotidiano oppure saper trasmettere delle idee, finanche dei valori?
«Attraverso la mia musica non voglio trasmettere alcun valore morale. L’artista, come diceva Oscar Wilde, deve essere semplicemente il creatore di cose belle. E al giorno d’oggi vi assicuro che è una delle cose più difficili da fare».