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FABIO CINTI «In questo momento vedo parecchio esibizionismo e protagonismo. L’arte vola più in alto»

Continuiamo il nostro viaggio “musicale” provando a elaborare assieme ad alcuni artisti queste strane giornate di marzo. Dopo Renato Garbo, abbiamo chiesto a Fabio Cinti, uno dei cantautori migliori della sua generazione, di tracciare le coordinate di questo particolare momento per il nostro Paese.

Ovviamente è l’attualità a tenere banco. Pensi che questa situazione e questo riscoprirci terribilmente vulnerabile davanti a un nemico invisibile possano portare, alla fine, a qualcosa di nuovo, a una presa di coscienza (dei singoli) diversa rispetto al passato?

«Dipenderà dalla sensibilità di ognuno di noi. Sicuramente il declino culturale degli ultimi venti anni non ha giovato e molti sono completamente impreparati, incapaci di affrontare se stessi e la solitudine. Una società più alta è formata da individui con una coscienza più ampia. Eventi di questa portata bisogna affrontarli forse con più serietà e profondità. Non che l’ironia non sia importante, anzi, è fondamentale, ma forse meno schiamazzi e qualche riflessione sui nostri comportamenti aiuterebbero a crescere».

Che ruolo può avere, oggi, in questo momento, un artista: intrattenere comunque il pubblico usando i mezzi a disposizione, oppure cercare di elaborare questi giorni provando di conseguenza a dare – tramite l’arte – una chiave di lettura?

«Credo siano giuste entrambe le cose, ma dipende dal tipo di artista. Tendenzialmente, per quanto mi riguarda, sono più attratto (anche da spettatore o fruitore) più dall’elaborazione che dall’intrattenimento. In questo momento vedo parecchio esibizionismo e protagonismo. L’arte vola più in alto».

Da cittadino, invece, come stai vivendo questo momento così particolare e carico di tensioni? 

«Sono abituato alla vita solitaria da sempre, a passare quasi la totalità della giornata da solo, con lo studio, la musica, la natura. Dunque in questo momento, da questo punto di vista non mi cambia molto».

Ti senti rassicurato da chi è chiamato a prendere decisioni nazionali?

«Chi sta prendendo decisioni ha una responsabilità e un peso così grave di cui francamente pochi se ne stanno rendendo conto. E siamo stati fortunati, per una serie di eventi, a ritrovarci in quei vertici persone che non hanno comprato una laurea, che sanno parlare bene e che hanno una coscienza salda. Forse è il minimo sindacale, ma mi sento abbastanza al sicuro. Abbiamo rischiato di avere gente bipolare, mitomane, ignorante, insensibile e incapace».

Chiusi in casa, e talvolta in una condizione di solitudine terribile, cosa può avvicinarci alla felicità?

«La solitudine non è affatto terribile. Lo è se siamo vuoti come gli pneumatici, la cui esistenza è insita solo nel movimento: quando sono fermi sono pezzi di plastica vuoti. Quanto alla felicità posso dire quello che dico anche nella mia ultima canzone (“Giorni tutti uguali”): non è impossibile vedere i giorni tutti uguali, fermare l’attimo della felicità, capire l’alchimia di un momento irripetibile e vivere più in alto, un po’ più in là, dove il buio, col diradarsi dei pensieri, diventa luce. Ora che non possiamo (e non dobbiamo) scappare, che non abbiamo le solite distrazioni, è il momento di affrontare noi stessi e capire quanto siamo capaci».

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