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VACCA «Ho voglia di rapportarmi con un pubblico più ampio e un mercato internazionale»

«Molti ragazzi credono che il successo di alcuni rapper coincida con il loro inizio, ma non è così. In realtà se non vivi, se non risulti interessante perché nella vita hai fatto esperienze da raccontare, non ti cagherà mai nessuno». Firmato Vacca. Il rapper di origini sarde – ma cresciuto a Milano – proprio in questi giorni sta promuovendo il suo “L’ultimo tango“. L’ultimo album in italiano della sua carriera? Scopriamolo…

Partiamo dall’Italia, che tu ormai vivi un paio di volte all’anno. Milano è una città che ti piace ancora?

«Ci sono cresciuto, ci sono affezionato, non posso rinnegarla. Ma ormai ho cambiato stile di vita, vivo per un lungo periodo all’anno un clima che è differente, anche i miei ritmi di vita sono differenti».

Mai avuto rimpianti per la scelta di trasferirti in Giamaica?

«No. Io non so se a volte nella vita certe decisioni le prendi davvero te oppure inconsciamente sai che c’è una strada che va percorsa. Quindi questa è la strada che finora ho percorso e va bene così».

In Giamaica ci sono i Talent?

«Ci sono. Però voglio dirti una cosa: quando guardi all’estero certe cose, Talent compresi, noti che c’è un sacco di gente che ha qualità e che certe scelte non le fa solo ed esclusivamente in funzione della fama o del successo. In Italia si va in televisione per farsi vedere, e non per avere una chance per emergere, per portare fuori la tua arte. Da noi vengono reclutati artisti che non sanno cantare o ballare, oppure vengono arruolati rapper che vanno a cantare pezzi di altri rapper. E poi a seconda di quanto sei carino o telegenico vai avanti, mentre l’essenza dell’arte viene messa in un angolo».

Quindi non vince chi è più bravo?

«No, da noi vince chi è il più bellino, il più presentabile, il più simpatico, quello che lecca meglio il culo alla conduttrice».

Potremmo fare un titolo del tipo: “Vacca va contro la tv”?

«No, io non ce l’ho con la televisione e ti dirò di più: certe cose vanno pure bene per creare ascolti, ma è il rap che non c’azzecca nulla in certi contesti, perché il rap non è nato in televisione, ma è nato in strada e vedere rovinata questa cultura da gente a cui non frega nulla del rap è una cosa triste, perché parliamo di gente il cui unico interesse è farsi riconoscere in piazza come un babbeo».

Parliamo del nuovo disco. E’ davvero l’ultimo lavoro in italiano?

«Per adesso è l’ultimo disco in italiano, con questo non voglio dire che non ci saranno più avanti uscite non ufficiali come mixtape o ep, però in questo momento sento l’esigenza artistica di provare a rapportarmi con un pubblico più ampio e un mercato internazionale, per farmi capire in Germania piuttosto che in Inghilterra, Spagna o Francia. Quindi ora voglio lavorare su questo progetto in patois, in giamaicano».

Ti sei dato delle scadenze?

«Al momento stiamo parlando con gente fuori dall’Italia per capire come e quando uscire, ma non ci sono date precise. Anche perché ora ho voglia di promuovere questo lavoro e di pensare al tour».

Materiale nuovo ne hai già?

«Ne ho già parecchio. Sotto questo punto di vista le cose sono già a buon punto».

Nelle tue interviste ormai la domanda su Fabri Fibra è quasi un obbligo. Vorrei però chiederti qualcosa su Nesli. Perché all’epoca del successo con Fabri Fibra, eravate in tre sul palco. Quali sono i tuoi rapporti con Nesli?

«Con Checco ci sentiamo, non spessissimo perché lui è molto preso dalle sue cose, com’è giusto che sia, e anche la distanza non aiuta di sicuro, però ci sentiamo su WhatsApp ad esempio. Il rapporto fra noi è rimasto come il primo giorno che ci siamo conosciuti a Bolzano mille anni fa, prima di un concerto, e da lì siamo diventati amici, abbiamo condiviso un casino di cose, camere di albergo, momenti belli e momenti brutti. Checco è una grande persona, al contrario del fratello. Per Checco nutro un bene infinito. E fra di noi non ci sono mai stati problemi».

Parlami di Jamil, che hai preso sotto la tua ala protettrice e che sembra destinato a una grande carriera.

«Io gli ho aperto alcune porte ma tutto il resto lo ha fatto lui e lo sta facendo lui, perché la musica è la sua ed è lui, con la sua arte, che sta tirando dentro sempre più attenzioni e persone. Sta crescendo e maturando con rapidità e anche in termini mediatici oggi è più grosso rispetto al passato. E teniamo conto che è ancora un ragazzino di 23 anni. Finora ha fatto delle grandi cose e ha ricevuto stimoli a fare sempre meglio. Normale che ora sta a lui gestire questa cosa e continuare il percorso intrapreso, con testa, senza farsi prendere dalle cazzate che ci sono in giro».

Jamil ha imboccato quella che parrebbe essere la via giusta. Ma qual è la via giusta per un esordiente?

«Guarda, io la penso così: se sei agli inizi e hai un profilo Facebook, cancellalo. Se hai un profilo su YouTube, cancellalo. Cerca di andare in strada, di assorbire la strada, di fare esperienze, di vivere, di conoscere gente. Poi impara, fatti una cultura, allenati tanto, tanto, tanto tempo. E soltanto quando sarai competitivo, potrai pensare al tuo progetto, al tuo video, alle tue cose da fare. Purtroppo oggi i ragazzi sono annebbiati dall’immagine dei rapper, quindi la prima cosa che fanno è andare su Facebook e scrivere che domani esce il primo loro video, fatto con il Motorola del 1989, montato con una app del telefonino del papà e si credono i nuovi Guè Pequeno, ma la realtà è che Guè si è fatto il culo per arrivare ad essere quello che è ora, non è che ha fatto un video ed è diventato di botto Guè Pequeno, ma ha lavorato sodo. Molti ragazzi credono che il successo di alcuni rapper coincida con il loro inizio, ma non è così. In realtà se non vivi, se non risulti interessante perché nella vita hai fatto esperienze da raccontare, non ti cagherà mai nessuno. E’ inutile star dietro a un computer o a un monitor e fingersi ciò che non si è, perché in questa maniera non si arriverà mai da nessuna parte. Anzi, per fare rap così, allora è meglio andare a scuola, fare l’alberghiero o seguire altri indirizzi di studio. Insomma, per tornare alla domanda, il consiglio che mi sento di dare è: esci, non stare davanti a un pc».

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