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SANANDA MAITREYA «Mi hanno offerto milioni per tornare ad essere Terence Trent D'Arby»

Alzi la mano chi non ha mai ascoltato almeno una volta, nella vita, “Sign Your Name”, la super hit che nel 1988 proiettò Terence Trent D’Arby in vetta agli indici di gradimento musicali consacrandolo fra gli artisti in piena ascesa. Ebbene, di quel periodo è rimasto soltanto un vago ricordo nella mente del fu Terence Trent D’Arby, perché già da tempo il divo newyorchese ha un nome nuovo, una famiglia italiana e una esistenza che guarda al futuro senza nostalgie per il passato. L’artista americano dal 1995 si chiama Sananda Maitreya.

Partiamo dal passato. Nella quotidianità, cosa c’è ancora della tua vecchia identità di Terence Trent D’Arby?

«Non vi è porzione o parte della mia vita, dove io non sia altro che Sananda Maitreya. Mi hanno offerto milioni per tornare ad essere Terence Trent D’Arby ma è qualcosa che per me non avrebbe senso. Mi viene in mente un parente di George Clooney, il grande Abraham Lincoln, che disse di se stesso: “I Am A Slow Walker, But I Never Walk Backwards”, cioè “Io cammino lentamente, ma non cammino mai indietro”. Se mi fosse rimasto qualcosa, io vivrei ancora nel passato».

Il rapporto con le tue vecchie canzoni, invece, qual è?

«La mia unica relazione con le canzoni vecchie è l’orgoglio di averle scritte. E’ qualcosa che mi sono guadagnato, così come mi sono guadagnato la capacità di tenerle a distanza se è quello che desidero. Il passato non è mai stato qualcosa di affascinante per me, in nessun ambito della mia vita. In più essendo un americano che ha nel sangue un mix di diverse razze, cosa della quale vado fiero, come tutti gli americani di colore non sono nostalgico del mio passato. Per noi il passato rappresenta un luogo di odio e di oppressione, quindi cerco di guardare avanti e di limitare i miei viaggi a ritroso nella memoria, perché i racconti non sono sempre rose e fiori. Inoltre, la chiave per la longevità e la salute è non aggrapparsi a qualsiasi cosa non alimenti l’energia dell’esperienza quotidiana della vita».

Il nome Sananda significa “rinascita” e come l’esempio grandioso di Gesù ci insegna, tutti abbiamo diritto a rinascere

Da diversi anni vivi a Milano. Qual è il tuo feeling con l’Italia?

«Ho sempre sofferto il destino di sentirmi un uomo senza patria. La maggior parte della mia vita adulta è stata vissuta al di fuori dell’America. Io non mi sento propriamente italiano, visto che non sono nato in questo meraviglioso Paese, ma piuttosto uno straniero onorato di avere rari privilegi italiani. Sono molto felice, dopo aver vissuto in tutto il mondo, di essere in Italia, un posto ricco di cultura, di tradizioni e grandi valori».

Da padre, sei felice che i tuoi figli stiano crescendo in Italia?

«Sì, tutto sommato sono contento. La mia esperienza con il mio Paese natio ha prodotto molte forme di crisi di identità, a partire dal mio cambiamento di nome avvenuto nel 1995. Sono orgoglioso che i miei figli, Francesco Mingus e Federico Elvis, siano italiani. Mia moglie Francesca dice che sono italo-americani, ma io detesto la barra (-) o il trattino (/), perché è qualcosa che confonde. Una nazione non è fatta di razze, ma di tribù. I miei figli hanno un passaporto americano per gentile concessione del loro papà, ma farò in modo che quando cresceranno sia a loro chiaro che entrambi sono italiani con un padre americano, non viceversa».

Un giorno dovrai spiegargli la storia del tuo nuovo nome. E’ vero che Sananda ti è stato ispirato da un sogno?

«Sì, ho sentito per la prima volta questo nome in un sogno ricorrente ed è stato qualcosa di molto famigliare. Non ci sono motivazioni religiose, come spesso si dice erroneamente, legate al mio cambio di nome. Ho fatto questa scelta perché Terence Trent D’Arby non mi rappresentava più e non avevo spirito creativo. In più volevo riappropriarmi della mia vita e soprattutto riconnettermi ai miei sogni, senza essere solo una pedina di un business-plan. Il nome Sananda significa “rinascita” e come l’esempio grandioso di Gesù ci insegna, tutti abbiamo diritto a rinascere».

Che cosa vedi nel tuo futuro di artista, di uomo e di padre?

«Il mio futuro di artista è lo stesso sogno di sempre, quello di continuare a lavorare. Non ho grandi ambizioni a questo punto della mia vita, se non quella di essere in grado di continuare a infondere la musica con il mio amore per essa ed il rispetto per il suo tremendo potere di sollevare, ispirare e guarire la gente, così come semplicemente di divertire e intrattenere. Come marito, il mio obiettivo è quello di rinnovare le mie promesse, quelle che ho fatto anni fa quando mi sono sposato con Francesca nella Basilica di San Francesco di Assisi. Come padre, ho semplicemente voglia di crescere dei giovani leoni che sapranno sempre chi sono e non avranno mai paura di prendere il loro posto nella struttura di mondo, e scuoteranno l’inferno fino a quando tutte le mele cadranno. Loro non dovranno scegliere tra l’essere un amante o un combattente, li allenerò ad essere entrambi, per essere degli amanti e dei combattenti».

Torniamo per un attimo indietro. Tu hai rappresentato, e rappresenta tutt’oggi, un mito per molte donne. Che cosa significa essere un sex symbol?

«In passato mi chiesero di fare una canzone per dei prodotti di igiene intima femminile, ovviamente mi rifiutai, non ero davvero pronto per essere così vicino alle donne. Per il resto, credo che dovreste fare la domanda a mia moglie Francesca».

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