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WE ARE WAVES «Siamo attratti da atmosfere con un costante equilibrio tra malinconia ed energia vitale»

Un nuovo EP dal titolo “Promixes” in uscita il 5 febbraio, ma anche il pensiero a un nuovo album. E nel mezzo Torino, gli Smiths, gli Anni Ottanta e un’idea di musica che può sembrare persino radicale. Con Viax dei We Are Waves andiamo alla scoperta dell’universo dentro il quale germogliano le idee della band piemontese.

Il nuovo EP cosa rappresenta: la chiusura del cerchio rispetto al disco precedente oppure una prima anticipazione di quello che potrà essere il suono del nuovo lavoro? 

«Abbiamo in cantiere una manciata di pezzi nuovi e idee che andranno a sviluppare il prossimo lavoro, ai quali lavoriamo nelle pause tra i concerti. Indubbiamente la realizzazione di questo EP ha dato il via a una serie di intuizioni che finiranno nel materiale del prossimo disco. In questo senso “Promixes” si pone proprio al centro dei due poli che hai descritto: ci piace immaginare la discografia dei WAW come un continuo flusso, dove ogni uscita rappresenta un tassello all’interno di un percorso continuo con coordinate e atmosfere ben precise».

Nell’EP anche un omaggio ai The Smiths con “How Soon Is Now?”. Perché? 

«Adoro gli Smiths. E a livello di testi devo tantissimo alla lezione di Morrissey. Personalmente desideravo davvero tanto rendergli omaggio, come fosse una sorta di ringraziamento per tutto quello che hanno rappresentato e continuano a rappresentare nel mio quotidiano. E un pezzo dall’andamento scuro, ipnotico e maestoso come “How Soon Is Now?” si prestava particolarmente bene a una reinterpretazione col nostro stile; infatti ci ha preso bene sin dalle primissime demo».

Arrivate da una città, Torino, che negli ultimi anni è stata culla di vecchie e nuove idee di elettronica. In che misura la vostra città vi ispira? 

«Torino ha una tradizione elettronica molto radicata. Siamo ovviamente ispirati da una città che sembra plasmare un certo tipo di sound con la sua stessa topografia, il suo clima, i suoi edifici. Non abbiamo come punti di riferimento degli artisti torinesi in particolare, anche se ovviamente ce ne sono molti che seguiamo e che ci piacciono come Niagara, The Yellow Traffic Light, Incomprensibile FC».

Mi incuriosisce molto la vostra passione per un’epoca irripetibile come quella degli Anni Ottanta. Perché ancora oggi quella decade esercita sulle nuove generazioni un fortissimo fascino?

«Forse per la sua personalità marcata, o per quella malinconia, quella poesia di fondo unita a quella fame di spaccare il mondo coi pochi mezzi a disposizione. Personalmente, uno dei motivi più forti è perché ci identifichiamo come artisti e come persone, soprattutto a livello di attitudine e di visione di come dovrebbe funzionare la musica e il mondo legato ad essa. Poi ci sono Anni ’80 e Anni ’80: a noi interessano quelli stile “Blade Runner” e “I Guerrieri della Notte”, per intenderci».

Nella vostra musica è facile riscontrare uno stile preciso. Ma cos’è lo stile dal vostro punto di vista e come lavorate su di esso? Che è anche un modo per chiedervi qual è la vostra idea di suono. 

«Siamo attratti da atmosfere con un costante equilibrio tra malinconia di fondo ed energia vitale. La musica che suoniamo rispecchia questa dicotomia, così come i testi. Lo stesso nome della band, al contrario di quanto si potrebbe pensare, non nasce come omaggio alla new wave ma come espressione di questo concetto: noi siamo onde, come tali destinate a sfracellarci contro gli scogli insormontabili delle nostre fragilità e debolezze; ma col continuo desiderio di rialzarsi per farle a pezzi».

L’EP funziona benissimo sia ad alto volume, sia a volumi ridotti. C’è una particolare situazione che consigliereste per l’ascolto? Di giorno piuttosto che di notte, soli o in compagnia, buio in camera o luce. Insomma, a qualche ambiente potrebbe fare da colonna sonora la musica di “Promixes”?

«Se vogliamo autocitarci la condizione migliore è quando guidi per un tempo molto lungo solo per sentirti meglio».

In questo momento storico, da quali Paesi arrivano le idee migliori in fatto di elettronica? 

«Viviamo in un’epoca dove tra globalizzazione e streaming le barriere geografiche si sono notevolmente affievolite, interconnesse e si influenzano a vicenda. In questo senso non c’è una “scena” più forte di un’altra. Anzi, spesso le novità più interessanti arrivano dalle periferie, o da posti sconosciuti che non ti aspetteresti mai, perché magari godono di una scena meno sovraffollata o di suggestioni diverse dalle solite, un po’ inflazionate, dei grandi centri».

L’Italia come si pone rispetto ad altre realtà?

«Per quanto riguarda il panorama elettronico, l’Italia sta messa bene, ha parecchi nomi interessanti che si stanno facendo notare, e bene, anche all’estero, partendo dai nomi più grossi come The Bloody Beetroots o Aucan e arrivando agli ultimi lavori di artisti come Populous o Godblesscomputers. Quindi direi che non abbiamo nulla da invidiare rispetto ad altre realtà straniere».

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