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PIERPAOLO CAPOVILLA «Io nel club dei "cattivi maestri"? Ok, tanto non ho più niente da perdere»

Dopo la storica militanza ne Il Teatro Degli Orrori, Pierpaolo Capovilla ha inaugurato di recente l’inizio di un nuovo capitolo discografico insieme a Garrincha Dischi, pubblicando il suo primo lavoro in studio con l’inedito progetto Pierpaolo Capovilla e i Cattivi Maestri, dirompente formazione in cui figurano anche Egle Sommacal (Massimo Volume), Fabrizio Baioni e Federico Aggio.

Abbiamo colto la palla al balzo. Il pretesto giusto per intervistarlo dopo diversi anni.

Come hai vissuto questi ultimi due anni di emergenza sanitaria? Ne sei uscito migliorato? Vedi attorno a te un mondo migliorato?

«Neanche un po’… Sono ingrassato, per l’eccesso alcolico. Non ho mai bevuto tanto come in questi due anni stramaledetti, un po’ per combattere gli stati d’ansia, un po’ per passare il tempo, un po’ per dimenticare il… futuro. E non mi sembra migliorato neanche il mondo, o la gente intorno a me. Vivo a Venezia, Venezia isola, la città più aggredita dal turismo di massa che ci sia in Italia. Avevo sperato che qualcosa potesse cambiare, ma tutto, veramente tutto, è tornato come prima, peggio di prima. Milioni di imbecilli vengono da tutto il mondo per gli autoscatti, per divorare pizze e spaghetti alle vongole, per bere a buon mercato, e della città non frega loro un bel niente. Non c’è più storia…».

Dopo il primo ascolto del disco, la parola che ci è venuta in mente è stata: selvaggio. Ci sembra un disco senza padroni e… non addomesticato. Tu come lo sintetizzeresti?

«“Selvaggio” mi piace come definizione. “Senza padroni” ancor di più. Direi che mi riconosco in questa riflessione».

Sono felice che la definizione che ti ho proposto ti sia piaciuta, ma vorrei soffermarmi ancora sul disco: da quale urgenza è nato e perché dovrebbe essere ascoltato da un adolescente infarcito di rap e trap?

«Amico mio, noi non stiamo facendo rock per indurre i più giovani ad un qualsivoglia ravvedimento che li allontani da quel pantano sintattico che è la trap o il rap. Per altro non tutto fa schifo in queste nuove forme di comunicazione musicale. Facciamo rock, un rock massimalista, perché è la musica che amiamo, nella quale ci riconosciamo, e che vogliamo far vivere ancora a lungo. Se poi l’adolescente si invaghisse, tanto meglio, il nostro sforzo sarà servito a qualcosa. Comunque una cosa mi è sempre stata chiara: la canzone popolare può contribuire al rinnovamento dell’immaginario collettivo, e questo vale per tutte le età, anche per i più giovani».

Proviamo a fare un po’ di nomi di “cattivi maestri” oggi? Senza limiti di campo, scegli tu. Ed esistono invece “buoni maestri”, oppure bisogna ricercarli nel passato?

«L’ultima volta che sentii definire qualcuno come un “cattivo maestro” fu nel caso di Erri De Luca, un intellettuale che ho sempre apprezzato, ma che sulla questione della resistenza ucraina mi trova, ahimè, in totale disaccordo… pazienza. Comunque mi vien da chiedere: Erri De Luca, il “cattivo maestro” trascinato in tribunale da una multinazionale francese per aver difeso, nel discorso pubblico, le azioni di sabotaggio contro il TAV, è “cattivo” oppure… “buono”? Propendo sicuramente per il “buono”. Il fatto è che colui che viene epitetato come “cattivo maestro” è in realtà, anche se non sempre, un “buon maestro”, uno che conosce, perché le comprende, le circostanze storiche, ne sa approfondire le contraddizioni, e sa svelare la sopraffazione dietro l’apparenza democratica. Viene definito “cattivo” per il semplice fatto di dire il vero di fronte al potere, caratteristica del “parresiastes”».

Concedimi di insistere, perché mi piacerebbe avere da te una sorta di… bussola – diciamo così – per comprendere di chi ti fidi e di chi no. Inoltre Capovilla dove lo possiamo mettere, tra i “buoni” o i “cattivi maestri”?

«Ascrivimi pure nel club dei “cattivi maestri”, tanto non ho più niente da perdere. Poniamoci questa domanda: Antonio Gramsci, che fu incarcerato e dal carcere ucciso, era un “cattivo” o un “buon maestro”? Per il fascismo era un “cattivo maestro”, che andava non solo stigmatizzato, ma reso inoffensivo. Eppure è stato il più grande intellettuale italiano del Novecento, fra i più letti e studiati ancor oggi, soprattutto nel mondo anglosassone. Insomma, le aggettivazioni buono/cattivo hanno un senso storiografico, nella misura in cui il loro senso ha un valore diverso nel corso della storia. Lo stesso Pontefice, Francesco, viene ammirato o accusato dai suoi stessi fedeli: ammirato, per la sua meravigliosa prossimità alle vite delle persone semplici, e a quelle degli esclusi, come è cristianamente ovvio che sia; temuto e inviso da una parte non interstiziale dei cattolici, come ad esempio i medjugorjeani, i conservatori razzisti, i clericali fascisti, e un’intera massa di cretini terrorizzati dai flussi migratori, gente senza valore e senza fede che non riesce a riconoscere in una donna o un uomo di pelle nera una sorella e un fratello».

Il pezzo che più ci ha colpiti del disco è “Il Miserabile”, perché è un crocevia, sintetizza tante cose del tuo percorso artistico. Com’è nato?

«“Il Miserabile” è la canzone più ironica dell’album, scritta in un momento stranamente fiducioso nel… destino. È nato pensando ai nostri ragazzi, che vivono, proprio perché giovani, in questo sempiterno presente, fatto di social e dispositivi, che ci distraggono dalla realtà della vita per indurci a viverla nel modo più congeniale ai consumi, al disinteresse, all’indifferenza, all’egotismo, alla resa».

E’ troppo ghiotta l’occasione per non chiederti dove ti collochi – tu – fra le tante contraddizioni della nostra epoca recente: vax vs novax, Russia vs Ucraina, Draghi vs se stesso – pare non esserci alternativa a Draghi stesso – Condizionatore vs Pace.

«Mi sono vaccinato per tre volte senza pensarci troppo. Certo, anch’io qualche timore lo sentivo, ma ha prevalso in me la fiducia nella scienza medica. La Russia mi ha profondamente deluso. Sono da sempre un amante della cultura russa, della sua poesia, drammaturgia, del romanzo, e in una qualche misura anche dell’Unione Sovietica. Questa guerra mi fa cadere le braccia. Ma che sia chiaro: la guerra fra Russia e Ucraina, per come la vedo io, è stata desiderata, pensata e pianificata dal Dipartimento di Stato Americano e dalla NATO, non dal Cremlino, che da almeno un decennio chiedeva ad alta voce il rispetto della propria sicurezza militare: se tu circondi un Paese con sofisticati sistemi d’arma d’ultima generazione, non puoi certo aspettarti che non vi siano conseguenze, tanto più se questo Paese è la Federazione Russa. Di Draghi ho un’unica opinione: non è che un rappresentante del potere globale incarnato dal Fondo Monetario Internazionale, con tutto ciò che ne consegue. La battuta “…volete i condizionatori o la pace” è rivelatoria della falsa coscienza che si vuole imporre nell’opinione pubblica, perché non saranno i consumi privati il vero problema, ma quelli industriali, e sarà una tragedia».

In una tua intervista mi pare di aver letto che Il Teatro degli Orrori è finito quando siete diventati un’azienda. Ma al di là dell’aspetto artistico, mi piacerebbe chiederti qualcosa sui rapporti umani: si è sciolta… l’azienda oppure sono naufragati proprio i rapporti umani fra di voi? Non vi sentite più?

«Non ci sentiamo più, devo ammettere. È un capitolo chiuso. Ma non provo più rammarico o rancore. Preferisco vivere».

Tu saresti un buon giudice per un Talent? Ti sei mai immaginato in un contesto del genere oppure in un Sanremo? 

«No way. Ho altro a cui pensare. E poi… che giudice potrei mai essere? Non conosco nemmeno l’armonia. I Talent, Sanremo, Eurovision, basta. Non se ne può più».

 

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