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GIORGIO MORODER «La dance? Mi è sempre piaciuta e mi piacerà sempre»

All’alba delle 75 primavere, dopo trent’anni di latitanza, torna Giorgio Moroder, il papà della disco music. In realtà la sua è stata una latitanza anomala in quanto ha lavorato senza apparire troppo, basti pensare alla canzone con i Daft Punk, ma resta il fatto che da tre decenni non pubblicava un disco da solista. Ed ora arriva, accompagnato da una curiosità unica, “Déjà Vu”, dodici canzoni e un rosario di featuring da far invidia a chiunque.

Signor Moroder, come sta?

«Bene. Sono pronto per questa nuova avventura».

Dove vive?

«Da circa tre anni sono rientrato a Los Angeles dopo un periodo in Italia: là il clima è buono, a Ortisei fa spesso freddo e se si è abituati alla California è difficile adattarsi. Inoltre ho una moglie messicana che ama il caldo».

E’ tornato nel business della disco.

«Non ho scelto io di tornare ma qualcun altro».

Che intende?

«Ho lavorato con i Daft Punk, ho scritto e registrato con loro “Giorgio by Moroder” per il loro quarto album “Random Access Memories” e subito dopo tre case discografiche mi hanno offerto un budget per un disco. Io ho optato per Sony Music».

E’ vero che ha ripreso a fare il deejay?

«Sì».

Avrà trovato un mondo nuovo.

«Cinquant’anni fa giravo per la Germania, cantavo, mettevo dei nastri. Oggi quasi tutti i cantanti sono anche compositori e parolieri. E poi si lavora a distanza».

Perché non ci si incontra più? Mancano il tempo o la volontà?

«I cantanti oggi sono così occupati tra duetti e televisione che farli entrare in studio nel momento giusto è difficilissimo. Poi ci sono i filtri».

Filtri?

«Tra manager e discografici è impossibile arrivare a loro. Questo disco l’ho iniziato due anni fa; con Donna Summer facevo un disco in quattro settimane. E ne vendevo molti di più».

Qual è il ruolo dei deejay oggi?

«Fanno tutto, sono anche produttori, ne sono un esempio importante Calvin Harris e Zedd».

Il palco rende tutti uguali?

«Direi di sì anche se i tempi differiscono: Tiësto e Avicii lavorano da molto ma sono star da pochi anni».

La musica dance così omologata continua a piacerle?

«Mi è sempre piaciuta e mi piacerà sempre. Ora l’elettronica garantisce molti suoni buoni».

La metodologia di lavoro è proprio un’altra cosa.

«Come lavorano le star è interessantissimo: Rihanna ha 3, 4 studi, invita dei produttori e tutti lavorano per lei. Dopodiché il suo produttore sceglie le cose migliori e fa gli assemblaggi».

La disco dei primi Anni Settanta era un altro mondo.

«Non era solo musica, ma anche vestiti, pantaloni, era un movimento fashion».

Lei negli Anni ’70 viveva in Germania e ha creato il Munich Sound.

«”I feel love” di Donna Summer lo rappresenta».

Non teme che con “Déjà Vu” la accusino di essere un nostalgico dei bei tempi andati?

«E’ una cosa che ho già fatto e ora la rifaccio».

Ora che farà?

«Un film, un musical, televisione. Ho costruito una macchina a 16 cilindri: ne hanno prodotto 8 esemplari, costa 600mila euro. Io ho il prototipo, due le ha comprate il sultano del Brunei: si chiama CZ Moroder ed è bellissima».

Musicalmente e oltre l’attività di deejay?

«Forse lavorerò con Lana Del Rey: ci sentiamo ma non riusciamo mai a combinare. C’è nell’aria qualcosa con Lady Gaga. Anche Chris Martin e Pharrell Williams vorrebbero fare qualcosa con me ma devo trovare la formula per superare i filtri che li circondano».

E nel tempo libero?

«Sto con mia moglie e gioco a golf».

Fabrizio Basso
(www.notespillate.com)

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