MACHETE CREW L'anno d'oro dell'All Stars del rap: «L'ossessione? La roba di qualità»
Com’è nata la crew?
«La crew ha preso forma senza volerlo già all’inizio del 2010, ma in qualche modo anche poco prima, in un periodo in cui nella nostra città, Olbia, ognuno faceva con maggiore convinzione e determinazione la propria roba. Salmo, El Raton e Dj Slait si conoscevano da tempo, io ho allacciato concretamente i rapporti con loro proprio nel corso del 2010 e ci siamo trovati a suonare alle stesse serate, cominciando successivamente a condividere anche pomeriggi produttivi, opinioni e quindi i live, spesso organizzati da noi stessi nella nostra città. Verso fine anno abbiamo deciso di dare un nome a quello che stava diventando un solido sodalizio tra più persone. Considerato che lavoravamo costantemente anche con i videomaker (Mirko de Angelis e Andrea Folino in primis) e con il nostro illustratore di Cagliari per eccellenza (Francesco “Frenk” Liori), abbiamo deciso di dare un certo tipo di connotazione nuova al collettivo, chiamandolo “Machete PRODUCTIONS”, perché puntavamo a produrre su tutti i fronti, non solo su quello musicale. Questa cosa ancora oggi ce la portiamo appresso, anzi l’abbiamo ulteriormente potenziata, avendo basi solide anche per quanto riguarda il merchandising, del quale un altro olbiese amico mio dai tempi del liceo, ne è il “king” (Charlie)».
Le antipatie in ambito hip hop? Ci sono, spesso celate da abbracci e baci di convenienza momentanea, ma ci sono. E non sono poche…
Il fatto che spesso i media identifichino in Salmo il leader vi infastidisce?
«No, perché fa parte del gioco di quando le cose non si sanno a fondo e di chi non può vedere come funziona per bene la nostra società da dietro le quinte. Salmo ha trainato prepotentemente a suon di risultati tutta una realtà. Come è vero che magari la Machete non sarebbe conosciuta così tanto se non ci fosse Salmo, è altrettanto vero che con tutta probabilità Salmo non sarebbe dov’è senza il supporto che un team del genere gli ha garantito, sia sotto il profilo artistico sia, soprattutto, umanamente parlando».
Sempre giocando di… semplificazioni, l’accostamento a un’altra factory come la Dogo Gang è motivo di vanto o vi lascia completamente indifferenti?
«Non può che essere un vanto, visto tutto quello che la Dogo Gang ha rappresentato per l’hip hop italiano da dieci anni a questa parte, e considerato che ognuno di noi ne è stato fan fin da ragazzino, nutrendo nei loro confronti perciò ancora tanto rispetto. Ci tengo però a precisare che a mio avviso siamo due realtà diverse, per la particolarità nostra di cui sopra, ossia che abbiamo elevato il concetto classico di crew, vantando tra le nostre fila non solo musicisti. Inoltre l’immaginario che proponiamo è differente, così come l’attitudine dei vari componenti delle diverse crew».
Il fatto di portare ulteriore freschezza alla scena hip hop italiana vi responsabilizza? Vi spaventa l’idea di rappresentare qualcosa di simile a un idolo per alcuni ragazzi?
«È sicuramente una responsabilità ma questo non vuol dire cambiare il modo di approcciarsi alla scrittura o ai progetti in generale. Non possiamo snaturarci, insomma. Restiamo sempre molto spontanei e puri in quello che facciamo, con un mantra semplice: “Proporre roba di qualità”».
Arrivati ad ottenere una discreta popolarità, quali sono adesso gli obiettivi? Sono sempre gli stessi degli inizi o sono stati (o verranno) riscritti?
«È un po’ come dicevo nella risposta precedente: l’obiettivo è tirare fuori sempre progetti di ottima fattura, restando fedeli ai nostri ideali musicali, ma contemporaneamente evolvendoci, considerato che tra di noi siamo comunque molto diversi e influenzati da correnti differenti. Che poi quest’ultimo tratto credo sia anche la nostra forza».
Le fortissime antipatie in ambito hip hop tra artisti sono leggende oppure una moda che anche in Italia qualcuno ha cavalcato?
«Le antipatie ci sono, spesso celate da abbracci e baci di convenienza momentanea, ma ci sono. E non sono poche…».
Cambiamo piano. Ci sono tantissime proposte rap in giro. In ambito hip hop come si fa a distinguere un progetto originale da uno farlocco?
«Bella domanda. Io punto sull’esperienza: credo che se si ha un occhio attento e si è un ascoltatore navigato di rap, si riesca a scorgere i particolari giusti per non comprare del rap farlocco. Dunque direi che bisogna ascoltare molta musica e oggi ormai si trova il modo di farlo gratuitamente su vari canali per poi, se un progetto merita e piace, comprarlo e supportarlo concretamente».
C’è un artista “pop” col quale vi piacerebbe lavorare? Vi chiedo questo perché ad un certo punto della carriera, per molti rapper (Fabri Fibra, Club Dogo, Mondo Marcio, ecc) sembra un inevitabile compromesso da pagare per raggiungere un pubblico più ampio.
«Ognuno di noi, chiaramente, ha le sue idee. Io personalmente ho sempre ammirato molto il modo di scrivere di Samuel dei Subsonica e più in generale le atmosfere che in molti brani hanno proposto mi affascinano».
Ci sono donne nella crew? Sono previsti ingressi? Oppure è meglio lavorare fra uomini?
«Per ora no, non ci sono donne. Ma mai dire mai. Prima o poi una “female Mc” che cambia le regole verrà fuori, chissà se per Machete Empire Records».