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CRISTIANO GODANO «Vi dico la mia sul premio Nobel a Bob Dylan»

Il Nobel per la Letteratura assegnato a Bob Dylan ha scatenato reazioni di ogni genere. Noi abbiamo chiesto un parere a Cristiano Godano dei Marlene Kuntzforse il miglior cantautore rock dell’ultimo ventennio italiano. Di sicuro, uno che con le parole ha sempre dimostrato di avere una sensibilità speciale.

Il premio Nobel a Bob Dylan ha spiazzato, spaccato la critica, stupito ma ha anche fatto il pieno di entusiasmo. A te ha stupito? Da quale parte ti schieri? Fra quelli come Baricco (“Cosa c’entra con la letteratura?”) oppure tra chi ha applaudito per l’azzardo?

«Mi ha stupito nella misura in cui mi ha molto favorevolmente sorpreso. Faccio dunque parte di coloro che ne sono felici, e fra i tanti che manifestano malcontento o disprezzo sono presuntuosamente certo che una altissima percentuale non lo abbia mai letto».

C’è chi sostiene che la grande letteratura del passato, oggi sia da ricercare nei testi delle canzoni. E in questo senso vengono spesso citati, oltre a Dylan, anche Nick Cave e Springsteen. Tu cosa ne pensi? Alcuni testi di canzone moderna possono essere considerati esempi di “alta letteratura”?

«Non sono molto favorevole a queste visioni così manichee: non vedo proprio come sia possibile sostenere che al giorno d’oggi non ci sono scrittori in grado di scrivere ottimamente. E d’altronde non è certo una discriminante sensata pensare alla letteratura del passato: perché mai la letteratura del passato dovrebbe essere il punto di riferimento? E quale passato, ci si potrebbe anche chiedere? Prossimo o remoto? (e già qui sarebbero necessarie decine di distinzioni). Personalmente in ogni caso non credo di saper dire cos’è “alta letteratura”: posso solo basarmi sui miei gusti, abbastanza evoluti e consapevoli, e dire cosa mi piace e cosa no. Per esemplificare: Nabokov (uno dei grandi scrittori del Novecento, di cui potrei lamentare l’assenza nella lista dei Nobel assegnati, come molti fanno in questi giorni nominando altri scrittori privati del riconoscimento – Borges in testa – e prendendosela con Dylan), non aveva timore di disprezzare conclamati mostri sacri come Dostoevsky, Faulkner, Balzac, Sartre, Mann… Mi sembra sintomatico del fatto che “i gusti sono gusti”, anche ad altissimi livelli, e mettersi d’accordo su dove stia il vero oggettivo e da tutti condivisibile è una mera illusione».

In Italia abbiamo diversi esempi di cantautorato “alto” (penso a Paolo Conte o a De Andrè), però in ambito rock l’ultimo ventennio è stato avaro di grossi nomi. Tu sei uno dei pochissimi che, in tempi non sospetti, ha battuto la strada della ricerca evitando testi autoreferenziali o banali. Hai fin da subito, parlo dunque degli inizi, avuto la sensazione che fare rock volesse anche dire andare oltre un riff di chitarra, oltre l’immediatezza di un suono?

«Io ho semplicemente assecondato in tutta la mia carriera l’insopprimibile esigenza di cercare di rendere i miei testi il più aderenti possibile ai miei pensieri, che per fortuna non paiono essere ordinari o banali. Per ottenere ciò mi sono sempre complicato la vita, e quello che ho scritto si è manifestato con qualche forma di complessità lontana dai canoni del pop e della facile assimilazione. Credo lecito dire che i miei testi sono, come la poesia, suggestivi, nel senso che suggeriscono, evocano, richiedono attenzione e disponibilità alla rilettura, non sentenziano. E hanno dunque, e purtroppo, bisogno di essere letti per essere apprezzati (ma anche qui servirebbe una distinzione fondamentale: qualsiasi testo di canzone, anche quelli di Dylan o di De Andrè, eccetera, visivamente perde il confronto con le “alte” forme di poesia, ovvero con la vera poesia – qualsiasi cosa questa definizione voglia dire – che è più completa e complessa. E’ un discorso lunghissimo e privo in ogni caso di verità assolute, come già insinuato nella precedente risposta)».

Scrivere testi in italiano è davvero così drammaticamente più difficile rispetto al confronto con l’inglese? L’italiano è una lingua così balorda?

«Sì, perché abbiamo pochissime parole tronche che non siano i soliti, ingombranti “mai, sai, già, qua, là, verrà, andrà, farà” eccetera. Sul “sai” in particolare ci sarebbe molto da divertirsi a contare quanti ne usano alcuni miei colleghi in ogni loro disco, in maniera decisamente spudorata. E le parole tronche, per come è strutturato il ritmo della musica rock (e pop, e blues, e quant’altro), sono purtroppo necessarie a chiudere il verso che andrà cantato, pena l’assenza di cantabilità. Un autore che seppe fare miracoli in questo senso, evitando dove possibile le solite trappole, fu Lucio Dalla. Purtroppo non è posto alla stregua dei soliti nomi, perché con ogni probabilità aveva qualche grammo di leggerezza in più nei suoi testi, tale da confondere le sensibilità non troppo raffinate degli ascoltatori eccessivamente sentimentali e “seriosi”».

Il tuo stile – parlo della scrittura dei testi – rappresenta da diversi anni un punto d’arrivo per gli esordienti. Ma come nascono le tue canzoni? La leggenda vuole che Bob Dylan, decenni fa, fu beccato a scrivere testi impugnando un giornale e un dizionario. Quali sono gli strumenti che invece tu usi? Insomma, qual è il segreto?

«Non conosco la leggenda di cui mi parli e sono pronto a immaginare che per i detrattori possa rappresentare un buon esempio della non eccelsa grandezza di Dylan. E invece la letteratura può tranquillamente nascere da occasioni come la lettura di giornale, e farla senza un grosso e ben denso dizionario è puro atto irresponsabile e presuntuoso (fatevi un giro al Vittoriale e guardate quanti ne usava D’Annunzio). La letteratura (e per derivazione la poesia, e intendo quelle “alte”) ha grandissime connessioni con il gioco: l’attitudine è la stessa. Gli autori si pongono sempre delle regole personali per ogni loro nuova creazione, spesso le più imprevedibili possibile, e in ossequio a esse elaborano il mix di forma e contenuto che ne risulterà. Così faccio anche io. Che poi questo accada leggendo un giornale, leggendo una buona poesia o un buon romanzo, passeggiando per le vie del mondo col naso all’insù, guardando un ottimo film, imbattendosi in qualche forma di idiozia altrui, o in qualche forma di eccelsa e commovente sensibilità, facendosi inebriare da una collezione di quadri o da una vertiginosa progressione musicale, e via immaginando, dimostra le infinite occasioni di ispirazione. Se il talento che ne viene ispirato è di quelli grandi, qualsiasi occasione è buona per essere tramutata in “alta letteratura”».

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