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NADIA & THE RABBITS «Vorrei che le mie canzoni assomigliassero un po' alle fiabe»

«Mi piace il mondo delle fiabe, quell’universo che nasce e finisce in pochi attimi. Vorrei che le mie canzoni assomigliassero un po’ alle fiabe». Ha un cognome teutonico dal suono impegnativo ma è l’Italia la terra dei sogni di Nadia von Jacobi, leader dei Nadia & The Rabbits: «Sono nata e cresciuta a Monaco di Baviera, poi a 16 anni sono arrivata in Italia e non credo che potrei fare a meno di questo Paese meraviglioso».

Sei una tedesca atipica. Dalla Germania riceviamo, spesso, più critiche che elogi…

«Quella tedesca e quella italiana sono due culture che faticano a comunicare tra loro, ma su una cosa non ci sono dubbi: i tedeschi amano l’Italia, non la disprezzano».

Forse non amano gli italiani?

«Tutt’altro, i tedeschi invidiano gli italiani, perché gli italiani sono sciolti, allegri, simpatici, mentre loro sono più composti».

Cosa c’è in te delle due culture?

«Mi piacciono la spontaneità e l’andare contro le regole, il vivere fuori dalle righe. In questo mi sento molto italiana. Mentre la disciplina e l’organizzazione sono le mie radici con la cultura tedesca».

La tua musica è legata a doppio filo col folk, un genere molto inflazionato negli ultimi anni. In cosa differisce il tuo stile?

«Il mio ultimo album si intitola “Noblesse Oblique”, e oltre a essere una presa in giro del famoso detto, è anche un modo per definire meglio il mio approccio alla musica. Il mio, infatti, è un folk… oblique, ovvero un folk che attinge anche da altri generi come il pop e il blues. Inoltre credo parecchio nel valore artigianale della musica, che si traduce nel suonare molto live anche durante le registrazioni».

La tua passione per le fiabe, invece, da dove nasce?

«Da bambina – sorride – mia mamma mi raccontava un sacco di fiabe, forse sono stata influenzata dalla mia infanzia».

Le fiabe racchiudono spesso un lieto fine e un insegnamento. Ci sono anche nelle tue canzoni?

«Credo di sì. Il lieto fine nei miei brani è il desiderio di affermare che siamo tutti parte di una comunità e che il legame con gli altri ci può spingere fuori dalla solitudine. Mentre l’insegnamento che c’è nelle mie canzoni è più che altro un consiglio: liberiamoci da tutto quello che ci rende schiavi del superfluo, che non vuol dire soltanto rinunciare alle cose materiali, ma anche lasciarsi andare, non aver paura di rischiare, reinventarsi un’esistenza diversa».

Bel proposito, ma l’Italia è il Paese dei mammoni…

«Nell’Italia di oggi ci sono i mammoni, ma anche tanti ragazzi coraggiosi che accettano di mettersi in discussione, di cambiare vita e città. Del resto, viviamo un’epoca dove il repentino cambio di prospettive è diventato qualcosa di molto familiare, quindi essere pronti al cambiamento è importante».

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