CantautoreIntervisteItaliano

MAURO ERMANNO GIOVANARDI «Io canto le canzoni d'amore perché fondamentalmente sono imbranato»

Partiamo dai convenevoli. Come stai?

«Dai, direi abbastanza bene».

E’ un buon momento, Joe?

«Sì, lo è nella vita privata. E anche artisticamente lo è di sicuro. Sono contento di com’è venuto fuori il nuovo disco, ovvero “Il Mio Stile“, sono soddisfatto di tutto il cuore che c’ho messo dentro. Inoltre tutti i giorni mi arrivano delle mail private o dei messaggi su Facebook bellissimi che riguardano proprio questa album, quindi mi sento tranquillo con la mia coscienza, sono davvero contento».

Sorpreso dalle recensioni ultra positive?

«Ho sempre ricevuto in carriera delle belle recensioni, ma questa volta ho ricevuto dei feedback persino inaspettati».

Ho letto molte tue interviste di recente. E mi ha colpito il fatto che tu abbia sottolineato come gli ultimi anni li abbia spesi a trovare una sorta di appagamento artistico più che economico…

«Guarda, io faccio spesso una battuta che poi tanto battuta non è: morirò povero. E questo perché ogni volta che mi propongono qualcosa, penso sempre a quanto di bello uno possa fare o possa lasciare dietro di sé in termini puramente artistici. E quindi spesso mi capita di finire in progetti molto intriganti dove io stesso non so se, come e quando mi pagheranno».

Sei finito per fare un nuovo disco di inediti dopo quattro anni. Perché?

«Ho lavorato davvero tantissimo ad altre cose in questi anni. E ti dirò di più: questo disco, per trequarti, era pronto già alla fine del 2012».

E poi ti sei lanciato in una cosa gigantesca…

«Sì, parliamo dei progetto col Sinfonico Honolulu. Però ti voglio raccontare bene la storia perché lo merita. Io avevo già conosciuto il Sinfonico Honolulu nel 2011 e avevamo condiviso il palco assieme (lì da loro a Livorno) lasciandomi delle bellissime sensazioni. Poi l’estate successiva capita che gli organizzatori mi invitano al Premio Lunezia, quindi gli ho detto: “Bimbi – a Livorno, anche sei c’hai 60 anni, sei sempre “bimbo” – è una situazione bella ma non ci sono soldi, vi va di venirci?“. Hanno accettato, sul palco è venuto fuori qualcosa di magico e alla fine ci siamo detti: “Se non facciamo qualcosa assieme siamo dei cretini”. E così da lì a poco mi sono ritrovato in uno studio a Livorno con una dozzina abbondante di pezzi da provinare, e sono rimasto lì 3 mesi e dacché doveva essere un progetto – per così dire – minore, mi sono tuffato completamente in questa bellissima avventura che mi ha assorbito moltissimo».

Quindi nessun pentimento per non aver pubblicato questo disco nel 2012?

«Ma sai, magari un mio collega avrebbe fatto una scelta un po’ più commerciale e meno di cuore. Però è troppo importante quello che facciamo e che lasciamo».

A proposito di questo. Tu ascolti mai i tuoi dischi del passato? Che rapporto hai con gli album vecchi dei La Crus?

«Se devo dirti la verità più sincera, i primi due dischi dei La Crus faccio fatica a risentirli perché non mi piace come canto. Intendiamoci, sono due lavori che apprezzo ancora oggi tantissimo, ma proprio non mi piace la mia voce. Mi sembra di avere un timbro un po’ monotono in quei dischi, ma potrebbe anche essere una mia impressione, tanto è vero che ogni volta che racconto questo a qualcuno vengo guardato con stupore, quasi fossi un eretico».

Mi piacerebbe chiederti qualcosa anche sul tuo rapporto con Cesare Malfatti, col quale hai condiviso l’esperienza dei La Crus…

«Ci sentiamo ormai poco».

Hai ascoltato le sue cose uscite in questi anni?

«Sì, e lo ammiro molto per il coraggio dimostrato: io canto da 20 anni, lui ha iniziato da meno. Ammiro molto Cesare. E non lo dico tanto per dire. Però fammi aggiungere una cosa: voglio bene a Cesare, abbiamo passato tantissimo tempo assieme, abbiamo fatto delle cose importantissime dal punto di vista artistico, siamo maturati assieme, però non siamo mai stati effettivamente molto amici».

Cioè?

«Sì, non vorrei equivoci su questo punto, quindi è meglio spiegare. Con Cesare abbiamo condiviso una passione grande, però siamo stati per molto tempo come il Diavolo e l’Acquasanta, nel senso che lui ha sempre avuto una vita più tranquilla della mia, la famiglia ha sempre rappresentato – giustamente, intendiamoci – una cosa molto importante per lui, tanto è vero che alcuni lavori dei La Crus li abbiamo fatti in orari da ufficio, ovvero dalle 11.30 alle 19.30, quasi mai la sera».

Aspetta, fammi aprire una parentesi. Cosa ti ha insegnato Cesare nel corso della vostra esperienza assieme?

«Mi ha insegnato molto, soprattutto mi ha insegnato a far diventare questa passione un lavoro».

Ok, chiusa parentesi. Dov’eravamo?

«Ti stavo raccontando del nostro rapporto agli inizi. E ti stavo dicendo che gli voglio molto bene e credo che lui ne voglia anche a me, ma non siamo mai usciti grosse volte assieme, perché eravamo troppo diversi, e credo che la nostra diversità abbiamo contribuito in maniera determinante a far funzionare i La Crus. Poi i grandi amori non meritano la mediocrità, quindi ad un certo punto è stato giusto che l’esperienza dei La Crus finisse».

A te le reunion piacciono?

«No, a me non piacciono molto, devo essere onesto. Però poi c’è stata la piccola parentesi sanremese».

Ne vuoi parlare?

«Sì, nessun problema. Forse – sorride – facevamo meglio a non accettare il Festival…».

Sei pentito della partecipazione al Sanremo 2011?

«No, per niente, però è stato un piccolo boomerang non andare su quel palco a mio nome e invece andarci come La Crus perché alla fine ha creato un po’ di confusione, ma a Gianni Morandi piaceva la storia dei La Crus. L’accordo era che ogni sera avrebbero dovuto dire che stavamo lassù come gruppo in via eccezionale. Però successe che uscì il mio disco, a mio nome, col pezzo di Sanremo, e la cosa finì per spiazzare molte persone: non ritrovarono nei negozi i La Crus».

Ma a te non piacciono le cose semplici…

«Per nulla – sorride – io riesco sempre a infilarmi in situazioni complicate».

Dai, chiudiamo con la musica e parliamo di vita privata. 

Sorride: «Stiamo ormai facendo una sorta di “Io Confesso” in forma di intervista».

Sulla copertina del nuovo disco c’è Ilaria, la tua compagna. Una scelta forte…

MAURO_ERMANNO_GIOVANARDI_il_mio_stile«Ti voglio parlare di come Ilaria è stata coinvolta in questo disco. Silva Rotelli, la fotografa, voleva lavorare su un immaginario di un certo tipo, con una presenza femminile, stava sfogliando dei cataloghi e a un certo punto mi dice: “Ma sai che io sto guardando un sacco di immagini ma secondo me la persona più giusta per le foto del disco è Ilaria”. E io mi sono messo a ridere. Le ho detto: “Tu la conosci, io la conosco, ci ammazza“. Perché Ilaria è una persona molto riservata, faccio fatica io a farle le foto, figurati…».

E quindi?

«Ci abbiamo messo più di un mese a convincerla e poi alla fine ha accettato e tutt’oggi sono felicissimo del risultato ottenuto, perché le foto sono meravigliose. E sai qual è la battuta che le faccio spesso?».

Quale?

Sorride: «Beh, in un colpo solo abbiamo fatto le foto per la copertina, per il disco e anche quelle per il matrimonio».

Inevitabile quindi anche la bella dedica contenuta all’interno del cd…

«Sì, ma la frase che trovate sul retro della copertina è la stessa frase che le dico poi tutti i giorni. Lei è la mia vita e non perdo mai occasione per dirglielo».

Parliamo di donne. Tu hai scritto in carriera un sacco di bellissime canzoni d’amore…

«Sì, ma io canto le canzoni d’amore perché fondamentalmente sono imbranato. Devi sapere – sorride – che io in passato ho sempre faticato a capire quando il mio sentimento verso una donna era ricambiato e ti assicuro che una delle cose più brutte è avere la sensazione di piacere a una donna, darle un bacio e vedersi respinto, magari con una frase del tipo “…ma che cazzo hai capito?“. Credimi – sorride – è la cosa peggiore che possa capitare a un uomo».

Però aspetta, se con le canzoni non si conquistano, queste donne come si fanno capitolare?

«Boh, non lo so davvero. Però se vuoi ti racconto una storia».

Ok.

«Non chiedermi il nome, però tanti, tanti, tanti anni fa mi ero infatuato di una ragazza che mi sembrava carinissima, che era scrittrice, le piacevano le cose che facevo, era innamoratissima dal punto di vista artistico di Carmen Consoli e una delle sue canzoni preferite in assoluto, anzi, proprio la sua canzone preferita era la versione dei La Crus di “Estate”. Vabbè, arriva il giorno del suo compleanno e per una coincidenza assurda, Carmen suonava all’Alcatraz di Milano. La sera prima sai cosa ho fatto? Ho affittato uno studio di registrazione e ho inciso una versione solo per lei di “Estate”; il giorno dopo avevo un pass per il concerto di Carmen e l’ho accompagnata a vedere tutto lo show dal palco, poi le ho regalato il cd con la versione incisa appositamente per lei di “Estate” e dai, indovina com’è andata a finire…».

Non può essere andata a finire male…

«Non ti rispondo, però non chiedermi come si conquistano le donne, perché – sorride – io non l’ho mai capito».

Pulsante per tornare all'inizio