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GIOVANNI SUCCI «Il patto col diavolo funziona, mi passa pezzi abbastanza buoni...»

Un Succi con ghiaccio non lo si rifiuta mai. Ma può anche diventare, all’occorrenza, un cocktail: aggiungete un po’ di Conte, un po’ di rap (in questa intervista scoprirete che Succi è un rapper da anni…), mescolate energicamente ed ecco il risultato. Mai indigesto, ottimo per carburare. In ogni stagione. Si parte.

Il nuovo disco è vario dal punto di vista musicale. Ha stupito la tua voglia di confrontarti con il rap. 

giovanni succi ghiaccio«Mi piace, mi diverte, è uno strumento duttile, molto efficace alla narrazione ritmica. Si chiama parola in versi e pare sia un po’ vecchiotta come trovata, ma facciamo pure finta che sia una novità. Grazie al rap torna vivo e vegeto l’italiano contemporaneo, finalmente svecchiato anche al livello mainstream della popular-song e questo mi sembra molto positivo».

La title track com’è nata? 

«La title-track è nata cercando di condensare un’esistenza in versi brevissimi, che presi a due a due sono un blues, messi in fila fanno un rap (non esistono compartimenti stagni, come vedi) e già che c’ero l’ho usato anche per tiramela un po’, come impone il cliché del genere».

Pensi resterà un episodio isolato oppure in futuro potrebbe anche arrivare un “Succi con rap”?

«Uso il rap come mi pare, quando mi serve, è una freccia al mio arco. Ti dirò, sono felice che ‘sta freccia sia arrivata finalmente a segno. Perché a dirla tutta “Succi con rap” è già partito da un pezzo, solo che magari essendo invischiato nell’humus morboso dei Bachi Da Pietra passa un po’ inosservato. Suggerimenti?».

Vai…

«”Primavera Del Sangue”, “Aprile D.C.”, “2:40”, “Verme”, “Prostituisciti”, “Casa di legno”, “Non io”, “Lunedì”, “Servo”, “Mestiere che paghi per fare”, “I suoi brillanti anni Ottanta”, “Seme nero”, “Lui verrà”, “Fosforo bianco democratico”, “Per la scala del solaio”, “Strada verso incisa”, “Pietra della gogna”, “Bignami”, “Niente come la pelle”, “Pietra per pane”, “Enigma”, “Fessura”, “Sangue”, “Io lo vuole”, “Baratto@bachidapietra.com”, “Tito Balestra”, “Baratto resoconto esatto”, “Black metal il mio folk”, “Slayer & the family Stone”, “Apocalinsect”, “Virus del male”, “Sepolta viva”, “Habemus baco”. Riascoltateli in questa chiave, al netto di stereotipi e schematismi».

Le tue liriche esprimono spesso, anche in questo lavoro, una visione del mondo cupa, finanche nichilista. Esclusa la musica che evidentemente è una… croce che ti piace portare, per cos’altro ha senso sbattersi veramente? Soldi? Fica? Qualche fans in più?

«Ho l’impressione che cupo e nichilista sia ormai tutto ciò che non sta esattamente “…sotto il sole sotto il sole di Riccione di Riccione (gran pezzo, tra l’altro, niente da dire). Faccio questo effetto? Peccato. A me pare di essere un semplice osservatore disincantato del mondo: si potrebbe chiamare realismo. Non dico niente che non abbia osservato in atto. De-scrivo. Oggetti, soggetti, situazioni. Detto ciò, ha senso sbattersi per quello che ti fa sentire vivo. Non è detto che la cosa che ti fa sentire vivo porti soldi, fica e fan. Anzi, magari porta enormi rotture di cazzo. Ma ti fa sentire vivo. Oppure crepa comodamente».

Il disco si apre con “Artista di nicchia”, che tu hai descritto così: “…va detto che ormai se non riempi uno stadio o un palazzetto è quasi fisso che tu sia detto un podi nicchia in ogni caso. Quindi alla fine, un podi nicchia non la si nega più a nessuno”. Mi aiuti a capire cos’è – dal tuo punto di vista – il successo per un artista? Riempire un palazzetto non dovrebbe essere l’obiettivo di chiunque faccia musica? Cioè portare la propria musica al maggior pubblico possibile?

«Certo che lo è, non sostengo mica il contrario. Chi non vorrebbe suonare in uno stadio per qualche milione di euro? Dimmelo tu. Ovvio che non ci arriverò mai, perché difficilmente quel che faccio piacerà a uno stadio di gente. Ma questo sono io, mica un altro. Esiste l’Amaro Succi, mica la bevanda Succi effervescente al gusto di caramella. A me sembra di essere un artista di successo dal momento che mi sono sempre permesso il lusso di fare esattamente quel che mi pare e piace, non ho scheletri nell’armadio e qualche volta ci arrivo pure liscio alla fine del mese (quasi). E’ tutto grasso che cola. Se per il resto del mondo quel che faccio si chiama “nicchia”, ok. Sono un artista di nicchia. Ma che nicchia».

Tu che le hai provate entrambe, mi dici quale dimensione oggi ti attrae di più? Quella in solitaria o quella all’interno di un gruppo? 

«Premesso che non ho nessun problema a sentirmi solo ovunque, pare che il destino trasformi in paradosso tutto ciò che tocco: nel gruppo (cioè Bachi Da Pietra, con Bruno Dorella) siamo in due; nel solitario siamo in tre (con Tristan Martinelli e Giovanni Stimamiglio). Devo ammettere che il trio mi regala – dopo così tanti anni di duo – la sensazione fantastica di poter staccare le mani dalla chitarra, quindi per ora me la godo».

Che futuro vedi per Succi?

«Succi non è un diversivo stagionale, il patto col diavolo funziona, mi passa pezzi abbastanza buoni per entrambi i progetti, per ora. Ha promesso, non so se fidarmi, vedremo».

 

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