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DANIELE CELONA «Le nuove canzoni? Ho persino cose più vicine a una sorta di Deftones in italiano...»

Dopo EP uscito a giugno, forse per Daniele Celona è davvero giunto il momento di dedicarsi a un nuovo disco sulla lunga distanza dopo gli ottimi riscontri ottenuti da “Amantide Atlantide“. In questa intervista scopriamo cosa c’è dietro l’angolo, ma parliamo anche di attualità, di cose leggere, di Talent, e delle drammatiche storture dei Social.

Dopo il tour estivo, nato per caso, è arrivato veramente il momento di lavorare su brani nuovi oppure credi sia necessaria una pausa per lasciar sedimentare il materiale che hai?  

«Andrò a istinto. A rigor di logica dovrei darmi una scadenza e raccogliere quel che c’è. In realtà dipenderà molto da come mi sentirò nell’opera di taglia e cuci del materiale che ho da parte, o nella stesura da zero di brani nuovi. E’ fondamentale che rimanga un processo naturale. Certo non potrà essere come quando d’estate mi ritiravo in Sardegna a scrivere. Stare in giro per date ha il suo contrappasso e l’aspetto più evidente è il tempo sottratto alla vita privata e alla scrittura. Altro problema è l’eterogeneità dei frammenti che ho in saccoccia. E parliamo, ahimè, delle classiche note vocali prese col cellulare».

Che profilo hanno questi frammenti?

«Alcuni passaggi hanno un piglio acustico e folk, altri partono da un giro al synth e hanno un sapore decisamente diverso. Altri ancora sono più vicini a una sorta di Deftones in italiano. Non so davvero cosa ne uscirà e che vestito darò al tutto. Per una volta mi piacerebbe non fare tutto da solo e affiancarmi a un produttore. Di riposare non se ne parla comunque, quest’autunno oltre che in un paio di date mie di chiusura, mi vedrà impegnato anche come musicista aggiunto nella prima tranche di tour di una band a me cara. Diciamo che è una  sorpresa…».

Negli ultimi mesi c’è qualcosa (una musica, un evento o un incontro) che vorresti fissare nelle canzoni che stai per scrivere?  

«Da buona spugna assorbo quanto mi gira attorno, senza sosta. Che sia un paesaggio, un evento martellato dai media o le parole scambiate con uno sconosciuto. La scelta di un argomento non è quasi mai fatta a tavolino. Emerge, evocata magari dal mood di uno strumentale. Le parti testuali che giacciono nella mia moleskine serviranno poi a fare da collante al tutto. Posso dirti che in un brano ancora incompleto, e che verosimilmente prenderà il titolo di “Canto di Sirene”, mi sono ritrovato a parlare di guerra quasi senza accorgermene. Credo che le immagini provenienti dalla Siria mi abbiano colpito più di quanto pensassi e siano finite in una storia che non ho connotato territorialmente, ma che ha assunto tratti purtroppo molto comuni a qualsiasi zona interessata da scontri bellici».

“Dalla Guerra alla Luna” è l’EP in digitale uscito a giugno per celebrare la storia del Diavolo Rosso, il locale di Asti. Per suonare in giro, oggi, bisogna più accontentarsi oppure più adattarsi? E’ anche un modo per sapere se mediamente i promoter hanno rispetto della professionalità dell’artista, oppure vige la logica del “…vabbè, tanto lo fai per hobby, quindi non rompere”?  

«Vale come in ogni ambito la qualità del rapporti umani. Credo si attui una specie di selezione naturale reciproca. Il passaparola conta, e il nome di una band stronza o di un promoter inaffidabile salta fuori presto o tardi. Mi è capitato di rado di dovermi scontrare con chi aveva organizzato una data o ci aveva ospitato nel suo locale. Certi promoter sono anzi dei baluardi che consentono a una scena di sopravvivere, di muoversi e avere dei punti fermi logistici fondamentali nell’organizzare il giro del Bel Paese. In alcuni casi non li considero neanche più addetti ai lavori. E’ come se fossero degli amici che ogni tanto passo a trovare e con cui condivido una bella serata. Detto questo, noi ci abbiamo messo del nostro per poter girare il più possibile. L’aver adattato il live anche per un set elettroacustico ci ha consentito di toccare più locali e più palchi. Idem dicasi per il particolarissimo set in cui mi esibisco con due violoncelliste».

Mi dici la tua su Manuel Agnelli a “X-Factor”? 

«Credo occorra aspettare qualche puntata per farsi un’idea di questa partecipazione che sulla carta risulta così inusuale. Tutto sta a vedere se Manuel riuscirà a rimanere se stesso fino in fondo. I meccanismi televisivi sono degli schiacciasassi e non sarà facile mantener la giusta corazza. Potrebbe anche uscirne qualcosa di buono. Parlo di effetti collaterali rispetto a un programma che è in tutto e per tutto uno show televisivo prima che musicale. Gettare un po’ di luce su un ambito sconosciuto ai più. Agnelli dovrebbe riuscire inoltre ad assegnare qualche cover o arrangiamento fuori contesto. Magari dei brani che un ragazzino di oggi non andrebbe mai a cercare. Anche Morgan in passato aveva sortito qualche effetto positivo in tal senso. Parliamo di briciole, chiaro, ma da qualche parte si dovrà pur iniziare nel desolante panorama televisivo italico e nel non-spazio riservato alla musica».

Tu andresti mai a un Talent?

«Non parteciperei a un Talent come concorrente, se è questo che mi chiedi, e oltre tutto si dovrebbe creare una nuova categoria apposita, quella dei… nonni. In tempi non sospetti, parlando di questo Talent in particolare, auspicavo non tanto un giudice preso dalla scena alternative quanto una giuria parallela in sala, che potesse essere interpellata o decidere ad esempio nelle situazioni di stallo al posto del voto popolare. Avrei visto bene in questo ruolo amici come Dente, Di Martino e Brunori, che oltre ad essere cantautori dell’oggi sono anche dei valenti intrattenitori, capaci di quella battuta pronta e tagliente, così adatta anche alla tv».

Nei giorni scorsi si è parlato molto del caso di Tiziana Cantone e della deriva che stanno prendendo i Social. Tu sui Social sei molto attivo. Che rapporto hai con essi e c’è qualcosa che ti spaventa di questi mezzi?

«In realtà cerco di mantenere le distanze. Spesso è l’affetto di chi viene ai concerti e mi scrive in seguito a “stanarmi”. Ma resta fermo il fatto che il silenzio e la decompressione sono per me assai importanti. Quindi se ho bisogno di isolarmi, di essere assente e stare in silenzio, lo faccio. I Social sono chiaramente uno strumento promozionale molto comodo, quasi  imprescindibile, per progetti artistici di nicchia e tutti noi siamo portati a farci i conti in un senso o nell’altro. Dovrebbe rimanere però una certa deontologia di fondo che spesso viene bypassata in nome di una logica del fine che giustifica i mezzi. Non è così. Io non scrivo messaggi privati a scopo promozionale, non condivido link in bacheche altrui, non taggo nessuno nei commenti o nelle foto a meno che non si tratti di amici strettissimi. Gradirei ricevere lo stesso trattamento. Il concetto dell’arrivare a tutti o a quanti più possibile è da sovvertire. Non è solo il pubblico che sceglie, lo devi fare anche tu dall’altra parte. Avere anche solo venti persone sotto palco, ma che siano tue».

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