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OMOSUMO «Nel nostro processo creativo non ci sono regole, cambia tutto ogni volta»

Gli Omosumo sono una band di rock elettronico/psichedelico di Palermo formata da Angelo Sicurella (voce, drum machine, synth), Roberto Cammarata (chitarra, synth), Antonio Di Martino (basso). A due anni dal primo lavoro, cioè “Surfin’ Gaza”, gli Omosumo sono pronti a continuare il percorso con il loro secondo album, dal titolo omonimo. Il compact verrà pubblicato l’11 novembre per Malintenti/Edel.

Il nuovo disco parla di partenze, porti, viaggi. Oggi più che mai il fuggire/andare è più forte del restare/combattere? Lego il concetto alla grande fuga di massa dei giovani italiani verso l’estero.

«Ad essere sinceri non abbiamo pensato a una condizione così concreta, come può essere la fuga dei giovani da te richiamata, ma se a te all’ascolto ha dato questa impressione, beh, è interessante come interpretazione, per quanto ci spiazzi. Ma è una tua interpretazione che ha il valore di un processo di pensiero in conseguenza di un input, questo è bello e interessante. Il guaio è quando gli ascolti talvolta distratti da parte degli addetti ai lavori (ammesso che sia mai stato fatto un ascolto) forzano il contenuto delle cose per renderle più adatte alla prima pagina di cronaca, o all’argomento trend del momento: sarebbe come se il tuo interlocutore rispondesse a una tua domanda non avendoti ascoltato, ma parlando di quello che gli passa per la testa in quel momento, meglio stare zitti a quel punto. Oggi tutto è veloce, non si dedica il tempo necessario all’ascolto, ma ormai è andata a finire che c’è gente che pensa di parlare di musica solo guardando la foto di una band senza averne mai ascoltato un brano per intero. Quando scriviamo e ci confrontiamo sui temi da trattare in musica e parole, siamo abbastanza lontani dalle dinamiche quotidiane o di cronaca, cerchiamo più delle sensazioni, degli stati d’animo, e proviamo a percorrerli. Poi quello che arriva a chi ascolta è un processo incontrollabile».

Il nuovo album arriva dopo un percorso lunghissimo. E’ stato un percorso necessario oppure si è reso necessario per via degli impegni? 

«Oggi un disco viene visto come un passaggio necessario tra un tour e un altro, è la dinamica del “mercato” a richiederlo e in tanti si adattano più o meno volentieri a questa routine. Alla fine del tour di “Surfin’ Gaza” ci siamo detti che sarebbe stato bello mettersi al lavoro su materiale nuovo, ma senza nessuna scadenza, ci poteva volere un giorno o un anno, saremmo usciti col nuovo materiale quando e se saremmo stati soddisfatti. Ci siamo presi il tempo necessario per arrivare dove volevamo andare, stiamo stati molto concentrati sull’obiettivo e non abbiamo fatto praticamente altro durante tutto questo periodo. Fare un disco è un atto di responsabilità e in qualche modo una piccola arroganza, metti nero su bianco qualcosa che poni all’attenzione pubblica, se lo fai ma poi non hai nulla da dire (perché magari non ce l’avevi qualcosa da dire fin dall’inizio) è come sbracciarsi per richiamare l’attenzione di qualcuno, e una volta ottenuta la stessa fare scena muta. Una pessima figura».

Per creare questo nuovo album – cito testualmente – avete derattizzato le vostre coscienze dal mondo musicale di oggi. Perché un’immagine così forte? 

«In effetti non guardiamo alla scena italiana attuale come una fonte di ispirazione artistica particolarmente significativa».

Avete tutti e tre dei percorsi personali-artistici ben definiti. All’atto pratico, però, qual è il punto di mediazione quando lavorate sugli Omosumo

«Non ci sono regole, cambia tutto ogni volta, ma c’è un momento in cui questa band si esprime come sintesi dei tre. Se non fosse così gli Omosumo non esisterebbero».

Mi dite la vostra sui Talent e sulla presenza di Manuel Agnelli a “X-Factor”?

«Non abbiamo nulla di intelligente da dire sull’argomento. E’ divertente però osservare come i puristi dell’indie (o quello che è) siano poi gli stessi che propongono i loro dischi alle major per provare a cedere loro qualche punticino di edizioni, o avere questa o quella piccola occasione di visibilità. L’indipendenza della scena indipendente è una solenne fesseria. Si dovrebbe parlare di più di musica, ascoltarla, viverla, e lasciare meno tempo alle minchiate».

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