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AT THE WEEKENDS «"U", il nostro lavoro a otto mani..."

Attivi dal 2009, gli At The Weekends hanno da poco sfornato “U”. Dici At The Weekends e la mente – per associazione di cose – va a The Weeknd. E’ un artista che vi piace? E’ anche un modo per chiedervi, oggi, quali sono gli artisti che vi incuriosiscono.

Francesco (chitarra): «Credo che nessuno di noi quattro segua molto The Weeknd, a me personalmente è capitato solo di ascoltare per caso qualcosa in radio e onestamente non ricordo nemmeno il genere. Per quanto riguarda gli artisti che ci piacciono, ognuno di noi prende ispirazione da band di diverso genere, sicuramente abbiamo svariate influenze che partono dagli Anni Ottanta, quindi, per esempio, gli Smiths oppure gruppi più recenti come The Strokes, Nada Surf, Band of Horses».

“U” è un disco umorale con tanti estremi che si toccano o si guardano da lontano. In che misura riflette la vostra concezione di “fare musica”?

Carlo (voce, chitarra): «Direi che “U” riflette molto, da un lato sonoro, quello che è il nostro modo di comporre i pezzi. Abbiamo lavorato “a otto mani” su tutti i 9 pezzi, è la prima volta che abbiamo affrontato tutti i brani del disco in questa maniera. Nel primo album, magari, c’era qualche pezzo già assestato in precedenza, stavolta invece si parla di un lavoro cooperativo al 100%. Per quanto riguarda invece il discorso “umorale”, è un disco sicuramente più intimo, più oscuro soprattutto nei testi».

Con internet i tempi si sono velocizzati e nell’arco di un anno si ascoltano più dischi di quanti se ne potevano ascoltare negli Anni Novanta. Oggigiorno non mi meraviglierei troppo se scoprissi una scena indie anche in Trinidad e Tobago

In “U” c’è tanto rock (e derivati) degli ultimi 20 anni. Cos’è che invece è rimasto fuori per scelta o necessità?

Carlo (voce, chitarra): «Su due piedi mi viene in mente l’elettronica: è stata sia una casualità che una scelta. Quando scriviamo un pezzo lo concepiamo spesso in uno stile ben preciso, ciò però non vuol dire che non apprezziamo la musica elettronica».

Da una vostra intervista: “…bisogna essere dei geni per saper coniugare rock e testo in italiano”. 

Carlo (voce, chitarra): «Sì, bisogna essere dei geni per coniugare le due cose ma soprattutto bisogna avere la facoltà di concepire mentalmente un pezzo in italiano. Essendo l’italiano una lingua strutturalmente e foneticamente opposta all’inglese, impone quindi un tipo di concezione totalmente differente rispetto alle liriche della tradizione rock anglosassone, almeno secondo me. E’ necessario avere anche un altro dono, quello della sintesi; il primo Vasco Rossi, ad esempio, aveva tutte queste facoltà, può piacere o meno ma è inutile negarlo. Noi invece, pensiamo e scriviamo in inglese perché ascoltiamo tanto materiale straniero e soprattutto ci interessa poco la scena italiana attuale, quella denominata “indie” (che poi tanto indie non è), perciò no, non abbiamo mai pensato a sperimentare con l’italiano, siamo piuttosto chiusi su questo argomento. Se qualcuno riesce a fare questa trasformazione con una nostra canzone ben venga, l’importante è che il risultato non sia un prodotto forzato».

Voi arrivate da Ceccano, un paese del Lazio di 24 mila persone circa. Oggi vivere in provincia non è più un limite, vero?

Carlo (voce, chitarra): «In realtà siamo 2/4 di Ceccano e gli altri 2/4 di Sora, anche se rimangono comunque due piccolissime realtà. Sicuramente l’epoca che viviamo permette di rendere tutto il mondo un paese, i mezzi di comunicazione e di informazione non mancano. Non bisogna più per forza attendere una trasmissione radiofonica o dover leggere una rivista per sapere che esiste quel gruppo, con internet i tempi si sono velocizzati e nell’arco di un anno si ascoltano più dischi di quanti se ne potevano ascoltare negli Anni Novanta. Perciò oggigiorno non mi meraviglierei troppo se scoprissi una scena indie anche in Trinidad e Tobago».

Si fa musica perché, ragazzi?

Francesco (chitarra): «Si fa musica soprattutto per esternare dei sentimenti, delle emozioni. La cosa più bella è poter condividere tutto questo con chi ti ascolta».

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