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DENTE «Odio i centri commerciali, stanno rovinando le città»

Naturalmente Dente (il suo vero nome è Giuseppe Peveri) è tante cose assieme, uguali e diverse fra loro. Però ci piace – ripercorrendo la sua vita – immaginarcelo come un ex magazziniere senza futuro ed ex bestemmiatore diventato poi brillante cantautore.

 

Partiamo dalla musica. In che misura subisci il fascino dei cantautori?

«Sono affascinato dalla scuola cantautorale italiana. Il mio cantautore preferito? Sergio Endrigo».

Nel 1968, Endrigo, vinse il Festival di Sanremo. Spesso sei stato accostato alla kermesse più famosa d’Italia…

«Tempo fa c’è stata la possibilità concreta, ma ho avuto un po’ paura di fare il passo più lungo della gamba. Comunque “mai dire mai”, anche se la storia della musica italiana ci ha insegnato che si può anche vivere senza Sanremo: sono tanti quelli che hanno fatto strada senza andarci, insomma, non è una tappa obbligata».

Di Sanremo cosa ti disturba?

«A me piace quando le canzoni sono protagoniste, al Festival invece fanno notizia altre cose: come ti vesti, con chi vai a letto, come pettini i capelli. A me questo carrozzone non interessa, e per andare a Sanremo devi accettare di salire sulla giostra».

Una volta a Sanremo vincevano i cantautori, ora si affermano i rapper…

«Anche se sono in tanti a sostenerlo, io non credo che i cantautori di oggi siano i rapper».

E allora chi sono?

«I cantautori di oggi verranno… scoperti fra 50 anni».

Perché?

«Perché agli addetti ai lavori piace più celebrare il glorioso passato che il presente, quindi i cantautori bravi della mia generazione avranno probabilmente la giusta consacrazione soltanto quando il passato che ci hanno lasciato i grandi artisti degli Anni Settanta sarà un ricordo».

Cambiamo argomento. Arrivi da Fidenza, la città famosa per l’Outlet…

«Odio i centri commerciali, stanno rovinando le città come fecero i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Ormai le piccole attività non esistono più nei centri storici italiani, sono state soppiantate dai grandi marchi che hanno creato dei centri commerciali all’aperto. Fateci caso: ormai le grandi vie dei negozi di tutte le città si somigliano drammaticamente».

E’ la globalizzazione, il bisogno di omologarsi a uno schema vincente. Tu non ti sei mai piegato a uno schema?

«Certo, sino a quando non ho deciso di licenziarmi. A 29 anni non vivevo più».

In che senso?

«Per quasi 30 anni mi sono svegliato ogni mattina bestemmiando, poi mi sono reso conto che non potevo andare avanti così e ho lasciato il posto di magazziniere. Non volevo vivere di rimpianti, quindi mi sono detto: “Meglio morire di fame sotto un ponte che continuare a vivere da infelice”. E allora, pieno di dubbi, ho lasciato il lavoro alla ricerca di qualcosa di diverso; nei miei piani non c’era l’ambizione di diventare un cantautore, diciamo che questo mestiere è arrivato quasi per caso, il mio obiettivo era trovare un’occupazione che mi facesse alzare al mattino felice e non perennemente incazzato».

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