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DEALMA «Gli accostamenti ci lusingano, ma vogliamo affermarci con la nostra musica»

In “Ritual“, il nuovo lavoro dei Dealma, c’è il rock americano ma non solo. C’è anche la Sardegna, la loro terra. Nelle parole di Giux, voce della band, scopriamo le caratteristiche del nuovo album.

Ascoltando “Ritual” certe fascinazioni americane sono piuttosto evidenti. Però dal vostro punto di vista, quanta influenza esercitano ancora i miti musicali coi quali siete cresciuti sul vostro progetto?

«Le influenze esistono e non si può affermare il contrario. Le diverse contaminazioni di generi musicali di ogni componente della band, ci hanno permesso di affinare il nostro stile. Essere accostati a grandi band quali Soundgarden o Red Hot Chili Peppers ci lusinga, ma il nostro obbiettivo è cercare di affermarci con la nostra musica, rendendola la più originale possibile».

Tra Seattle, la patria del grunge, e Olbia, la vostra città, la distanza che passa è notevole. Cosa significa fare rock in Sardegna, terra di forti tradizioni locali, di cantautori vecchi e nuovi, di rocker importanti e oggi anche terra di rapper?

«La distanza tra Olbia (la nostra città) e Seattle è notevole. Seattle ha dato vita ad una scena musicale e culturale che ha influenzato e tuttora influenza una moltitudine di band emergenti e non. Crediamo però che la nostra isola sia una terra piena di energia e creatività, una terra che ci offre tantissimo in termini di ispirazione. Ad Olbia, come in qualsiasi città o paese della Sardegna, ci si impegna tantissimo per “creare” delle realtà, con la speranza che vengano prese in considerazione e incentivate come meriterebbero».

Restando in tema di rap e rapper, venite dalla città che ha dato i Natali anche a Salmo, uno dei rapper più in voga del momento anche grazie alla Machete Crew. Vi chiedo se vi conoscete e vi chiedo anche cos’ha di così speciale Olbia visto che musicalmente sono spesso usciti dalla vostra città dei progetti interessanti…

«Maurizio (Salmo), lo conosciamo benissimo, è un amico, e conosciamo tutti i suoi step, una persona che ha creduto nel suo potenziale fino ad arrivare dov’è ora. In Sardegna cerchiamo di creare delle realtà artistiche che possano espandersi sempre di più; sul valore delle proposte forse incide essere ispirati dall’anima dell’isola e dall’abbraccio del mare».

Gli accostamenti a Chris Cornell, per via del timbro vocale, ti gratificano oppure li trovi superficiali, finanche fastidiosi?

«Chris Cornell ha una voce unica; gli accostamenti che mi attribuiscono li trovo un po’ superficiali e semplicistici. Tra le mie varie influenze, oltre al sopracitato, si possono annoverare i vari Mike Patton, Dave Matthews, David Coverdale, Jeff Buckley e altri ancora. Può essere fuorviante il mio timbro se chi mi ascolta vuole limitarsi a sentire in me un grande cantante come Cornell. Questo non può che gratificarmi, ma preferisco essere valutato come Giuseppe Mura, perché io ho la mia voce».

Per fare rock in maniera originale, cosa ci vuole oggi secondo il vostro punto di vista? E’ una questione di suoni, di attitudine, di lavoro sui testi? Insomma, qual è la strada giusta per non sentirsi l’ennesimo clone di un progetto più famoso?

«La strada giusta per non sentirsi un clone dipende dal tipo di personalità che si possiede, dal proprio modo di intendere la musica, dalla capacità di dosare le influenze e soprattutto da un’assoluta e continua ricerca ed evoluzione. Questa è la nostra idea di originalità: cercare di curare ogni aspetto, dal suono alla scelta di ogni singola parola che compone un testo».

Qual è la chiave di lettura di “Ritual”? Qual è il miglior modo per arrivare alla sua essenza?

«Un modo semplice: lasciatevi trasportare dall’ascolto cercando di trovare il giusto contatto, in un viaggio nei paesaggi nascosti in ogni brano».

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