ALMAMEGRETTA «“Lingo” è la celebrazione di una umanità senza passaporto»
Ci sono dischi utili, dischi belli e dischi che segnano un’epoca e indicano una via anche a distanza di tempo. “Lingo” fa parte di quest’ultima specie. Specie rara, perché a distanza di vent’anni esatti resta un album capace ancora oggi di ispirare e tracciare una linea retta fra ciò che ha dato e ciò che continua generosamente a dare all’ascoltatore. Per celebrare i quattro lustri di quel disco, abbiamo chiesto a Raiz e Gennaro T degli Almamegretta e a Eraldo Bernocchi (uno degli ospiti di quell’opera) di parlarci di “Lingo”. E abbiamo anche colto l’occasione per celebrare il talento di D.RaD (qui una sua intervista passata), la cui firma resta indelebile su un compact che ha fatto la storia.
Sono passati 20 anni da “Lingo”. Cosa ricordi della sua lavorazione e anche tu lo consideri l’album che meglio ha sintetizzato le vostre diverse anime?
Raiz: «“Lingo” è stato un parto difficile perché veniva da un grande successo come “Sanacore” e la band aveva una certa ansia da prestazione. In “Sanacore” avevamo usato l’elettronica per rendere la nostra musica più simile al suono del reggae anni ’80 e l’equivoco del gruppo “dal suono autentico” andava chiarito. Noi ci percepivamo come un collettivo di producers che metteva fuori album di concetto, non una reggae band “old school”. Il concept di “Sanacore” è l’incontro del lovers rock giamaicano anni ’80 con la canzone napoletana. “Lingo” è il mix del global sound anni ’90 con il mediterraneo. In sintesi uso degli stessi strumenti con risultati diversi».
Gennaro T: «Conservo un ricordo molto intenso di quel lungo periodo di lavoro che ci ha impegnato tra pre produzione, registrazione, produzione, mixing e mastering. Sono stati mesi che ci hanno visto fare la spola fra tre città diverse: Napoli, Londra e New York. Va da sé che momenti vissuti in questi posti così lontani tra loro geograficamente, ma assimilabili a un mood quasi analogo, hanno significato per noi un momento di grande accrescimento creativo. Era proprio quello che ci voleva e stavamo cercando per dar vita a un progetto discografico autenticamente apolide, che è poi la “filosofia” che ci ha sempre ispirato dagli esordi a oggi».
In “Black Athena” si dava voce all’uomo nero, all’emarginato. Il tema è ancora attualissimo. Cosa ne pensi di quello che sta accadendo nel Mediterraneo? E perché questa paura dell’uomo nero si è così radicata negli ultimi anni nel tessuto sociale italiano?
Raiz: «Io non credo che ci sia paura dell’uomo nero. Nessun europeo ha paura di Barack Obama, Michael Jordan o Denzel Washington. A fare paura è l’uomo povero, il cui arrivo è usato come spauracchio per chi sta qui. Arrivano gli alieni, vi porteranno via tutto: quindi è meglio che non vi lamentiate e facciate quello che vi viene detto. Un fenomeno marginale come quello dell’immigrazione verso l’Italia è stato ingigantito fino a farlo sembrare un tentativo di sostituzione etnica».
Gennaro T: «L’Italia è un Paese che ha un’esperienza dell’immigrazione molto limitata. Fino a pochi decenni fa era difficile incontrare per strada qualche “straniero” che non fosse turista. Per vivere senza angoscia e paura un fenomeno così complesso e difficile da gestire, occorrono spalle molto larghe e strumenti culturali assai ampi, di cui al momento la maggioranza degli italiani è completamente sprovvista. Se a questo deficit di comprensione aggiungiamo poi l’opera di determinati politici che soffiano sul fuoco della paura e del disagio economico, per meri calcoli elettorali, ecco la confezione prêt-à-porter di un mix micidiale di intolleranza, razzismo, rancore sociale e ignoranza. E’ una strada che porta direttamente alla barbarie e foriera di problemi drammatici, da cui sarà molto difficile tornare indietro».
“Lingo” è anche un album di collaborazioni importanti. Quanto hanno portato “gli altri” in questo album “vostro” e come furono coinvolti gli artisti?
Raiz: «I produttori del disco furono ufficialmente David White e Sandy Hoover ma una grande parte la fecero Count Dubulah, bassista dei Transglobal Underground – coinvolti tramite la RCA – e D.RaD. Il resto dei musicisti sono tutti amici e “amici di amici”: Pino Daniele, Eraldo Bernocchi che ha coinvolto Bill Laswell, Dre Love, Dave Watts e Julianna coinvolti da Dubulah. Il loro apporto è stato importante ma non decisivo in nessuna canzone, tranne che in “Berberia” suonato interamente da Bernocchi-Laswell: abbiamo chiesto i loro colori ma nessuno che “facesse” il pezzo al posto nostro».
Gennaro T: «Le collaborazioni sono nate già in fase di pre produzione, quando siamo andati a Londra e abbiamo ripreso il lavoro iniziato a Napoli. Ci siamo avvalsi di un terzetto di produttori gravitanti nell’orbita dei Transglobal Undergrond (Nick Page aka Count Dubulah, Sandy Hoover e David White). Il contatto fu curato da BMG che era la nostra etichetta discografica di allora. E proprio “Lingo” è stato il primo disco che ha sancito il nostro passaggio da un’etichetta indipendente a una major. Poi altri ospiti sono arrivati grazie ai nostri contatti personali o in seguito ad amicizie comuni. Artisti come Bill Laswell, Eraldo Bernocchi, Pino Daniele, Pasquale Minieri, Tommaso Vittorini, Julie Higgins, Neil Sparks, Gino Evangelista, Dre Love hanno contribuito in modo determinante al carattere decisamente globale di tutto il lavoro».
Come fosti coinvolto nel disco?
Eraldo Bernocchi: «Io e Bill Laswell all’epoca stavamo registrando due album, così Raiz e gli Alma mi chiesero se fosse stato possibile avere lui al basso e me alla chitarra su alcuni brani. Organizzai le session di registrazione. Componemmo “Berberia” improvvisandola e registrando in tempo reale. Fu uno di quei momenti magici in cui tutti gli elementi di un brano fioriscono allo stesso tempo. Bill suonò il basso su molti brani dell’album».