MAX CASACCI «Non ho tradito la mia giovinezza, sono tutt’ora attratto dalle frontiere del suono»
“Earthphonia” (Sugar Music/Universal Music Italia) è la nuova opera sonora del produttore torinese Max Casacci realizzata esclusivamente con suoni e rumori degli ecosistemi che regolano il nostro pianeta. In questo nuovo lavoro, il fondatore dei Subsonica schiera la sua musica in prima linea nella battaglia per l’ambiente, raccogliendo il suono direttamente dalla natura.
Cos’è “Earthphonia”? Una fuga temporanea dall’alveo del rock-elettronico? Una strada nuova tutta da percorrere e che avrà ulteriori sviluppi? Un contributo di educazione civica?
«“Earthphonia” è un’azione. Parte da un approccio musicale un po’ eretico, vedi musica senza strumenti, per accompagnare e sostenere le risposte più urgenti alla attuale crisi ambientale, in una chiave diversa. Più empatica nei confronti del Pianeta che siamo chiamati a difendere, che non catastrofista. L’elastico si tende da molto tempo. Più o meno dieci anni fa realizzavo, insieme a Daniele Mana, “Glasstress”, un’opera musicale in vetro per la Biennale d’Arte di Venezia 2011. Partendo dai rumori di una fornace del vetro di Murano, utilizzandola come “corpo ritmico” creavamo tracce sonore che sarebbero poi diventate un album omonimo. Da allora ho continuato, abbandonando progressivamente gli strumenti e iniziando ad estrarre melodia e tessuti armonici direttamente dai rumori e dagli ambienti sonori, rapportandomi quasi sempre con il contesto urbano. Poi per caso durante una vacanza sull’isola di Gozo sono inciampato nei suoni della natura, attraverso strane e antiche pietre in grado di suonare una volta percosse. Dalla registrazione di quei suoni, catturati più per gioco che per altro intento, è nato un brano: “Ta’Cenc”. Anche perché le pietre si sono rivelate magicamente intonate tra loro. Da quelle strane pietre, è nato tutto».
Negli anni hai affrontato diverse sfide fuori dai Subsonica. Qual è stata, sempre, la molla?
«Diciamo che non ho tradito la mia giovinezza, ero attratto dalle frontiere del suono a 20 anni e lo sono tutt’ora. Del resto i Subsonica sono stati frontiera anche loro seppur in un contesto legato alla canzone. E sono un’esperienza di frontiera anche i Deproducers, a cavallo tra musica e scienza. Per quanto riguarda l’ingraziarsi l’audience, mi pare che paghi di più offrire al pubblico quello che vuole e che mediamente si aspetta, piuttosto che costringerlo alla fatica di seguirti laddove nessuno si è mai spinto».
Qual è stata la tua quotidianità in questi mesi di restrizioni e come stai vivendo questa progressiva perdita di libertà?
«Calcolando che per ogni brano di “Earthphonia” ci è voluto almeno un mese di lavoro, è facile comprendere come il mio lockdown sia trascorso con le cuffie sulle orecchie, a lasciare che il suono del Pianeta mi trasportasse altrove rispetto al deserto urbano intravisto dalla finestra e alle sagome delle persone chiuse in casa. E non sarò mai abbastanza grato alla musica per questo suo ineguagliabile potere».
Anni fa, durante una tua intervista alla nostra testata, facesti scoprire ai nostri lettori la serie tv “Mr. Robot“. Cos’altro potresti consigliarci oggi?
«Un viaggio che consiglio a tutti è “The Vietnam War” di Ken Burns. La ricostruzione dell’intera vicenda a partire dalla occupazione francese, con la novità dei documenti che oggi sono finalmente stati desecretati. Alla fine delle dieci puntate quella guerra ti resta addosso. Ma soprattutto risulta evidente come tutti quegli accadimenti rappresentino una sorta di schema che si è riproposto innumerevoli volte fino ai giorni nostri. Colonna sonora strepitosa».
Il percorso dei Subsonica ha vissuto di varie fasi in carriera. Che fase sta vivendo oggi e che parabola ne intuisci?
«Credo sia arrivato il momento di riconnetterci alla fase iniziale del nostro percorso, quando tutto era governato prioritariamente dalla musica. Parlo dei nostri primi cinque album, che considero un momento sganciato dagli ultimi dieci anni. Negli ultimi lavori, a parte alcuni episodi, forse non siamo sempre riusciti ad esprimere il meglio di quello che realmente siamo in grado di fare. L’album “Mentale strumentale” uscito durante il lockdown, ma risalente al 2004, disegna una linea di demarcazione perfetta nella nostra carriera, per una ripartenza che mi piace immaginare gioiosa e molto ispirata».