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LUCA PERSICO Io, la droga e quell'incontro con Don Gallo

Dici Luca “‘O Zulù” Persico e ti vengono subito in mente i 99 Posse. Ma anche storie, personaggi, confini, situazioni. E soprattutto più di 20 anni di musica vissuti sempre dalla parte meno facile della barricata.

 

Partiamo dai personaggi, Luca. Se ti dico Don Gallo, cosa ti viene in mente?

«Fummo ospiti da lui, nel refettorio della sua comunità, nel 2003 dopo un nostro concerto. Mangiammo assieme ai suoi ragazzi, fu un’esperienza che mi fece riflettere parecchio».

Ti drogavi in quel periodo, Luca?

«No, era pulito, ma io con la droga ho sempre avuto un percorso altalenante: alti e bassi che sono durati fino a 6 anni fa, quando ho smesso. Tornando a quell’esperienza, però, mi ricordo che mi diede una forza incredibile mangiare in quel posto e trovarmi bene in una Comunità di Recupero».

Spiegati meglio…

«Non ho mai creduto molto nelle Comunità di Recupero, perché chi si droga lo fa come atto di rifiuto verso la società che ha attorno, quindi l’idea del… recupero, cioè del recuperare una persona che non accetta ciò che ha attorno, non mi è mai piaciuta. Però in quell’ambiente vidi uomini impegnati ad aiutare altri uomini, e questo mi fece bene».

Io sono una persona estrema. Lo sono negli affetti, nei rancori, nella musica, nel cibo, con la politica. Io se arrivo a toccare il fondo, poi voglio vedere cosa c’è oltre

Fu la molla per uscire dalla tossicodipendenza?

«No, la molla furono le tante cattiverie di alcuni colleghi e di personaggi legati al mondo della musica, quelle risatine che volevano dire “…ti abbiamo sconfitto”. La voglia di dimostrare loro che ce l’avrei fatta a superare quell’ostacolo fu determinante, così quasi dieci anni fa accettai di farmi aiutare e da lì le cose sono cambiate. Con fatica, ma sono cambiate».

Forse avevi toccato il fondo?

«Io sono una persona estrema. Lo sono negli affetti, nei rancori, nella musica, nel cibo, con la politica. Io se arrivo a toccare il fondo, poi voglio vedere cosa c’è oltre, quindi non credo fu una questione di “limite”, diciamo che non ero più interessato all’atto di drogarmi».

Ora vivi in collina e hai un figlio. Com’è cambiata la tua vita?

«Sono un padre che impazzisce per il proprio bambino. Raul è vivace, ama ascoltare la musica tutto il giorno e va già pazzo per la drum’n’bass, il reggae e l’hip hop. Mi ha cambiato la vita anche dal punto di vista musicale: per anni ho scritto ogni pezzo dopo attente analisi e riflessioni che duravano settimane, mentre nei quattro giorni dopo la nascita di mio figlio ho scritto quattro pezzi in un attimo».

Basta un figlio per una rivoluzione del genere?

«I figli cambiano la vita. Da un giorno all’altro capisci che le cose importanti sono altre, che le priorità sono nuove e vanno prese in seria considerazione».

Perché Raul?

«Volevo un nome di quattro lettere, un nome ricercato ma non impegnativo. E poi Raul Persico suona bene».

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