NICOLÒ CARNESI «La ricerca di un cambiamento è una delle principali ragioni che mi porta a scrivere»
E’ uscito da pochissimi giorni “Bellissima Noia” (Malintenti Dischi), il nuovo lavoro di Nicolò Carnesi. Con il cantautore palermitano abbia colto l’occasione per parlare naturalmente del nuovo album, ma anche di percorsi e stili, e persino di calcio…
https://www.youtube.com/watch?v=Sxo8ZJ8xwcc
In questo nuovo lavoro hai compiuto un ulteriore passo avanti dal punto di vista stilistico. La tua proposta, secondo noi, è ancora più personalizzata rispetto al passato. Cos’è per te lo stile e quali obiettivi hai legato a questo argomento? Nel senso, ritieni importante coltivare un proprio stile?
«Ritengo fondamentale coltivare un proprio stile. Quando ti proponi di fare un disco, devi farti un’idea del suono e del tipo di argomento che vuoi trattare. Chiaramente è un percorso di ricerca personale che sviluppi per tentativi cercando di canalizzare tutti gli input che arrivano attraverso gli ascolti o le letture. Non mi piace ripetermi, ricalcare percorsi già intrapresi, provo ad inventarmi qualcosa di nuovo rispetto al passato cercando di mantenere una cifra stilistica riconoscibile. Probabilmente la ricerca di un cambiamento è una delle principali ragioni che mi porta a scrivere».
Dal punto di vista sonoro hai mescolato parecchio le carte. Quali erano le ambizioni della vigilia, e pensi siano state rispettate ad album finito?
«Volevo realizzare un disco senza impormi limiti, cercare di raccontare quello che provavo e che osservavo in maniera diretta e personale, senza pensare alle esigenze radiofoniche o alle mode del momento. Ho ascoltato molta musica Anni Sessanta e Settanta e avevo da tempo il desiderio di fare un disco che suonasse caldo. In questo mi hanno aiutato molto Fabio Rizzo e Donato Di Trapani che hanno prodotto e suonato l’album insieme a me. Ci siamo divertiti molto a trovare soluzioni lontane da quelle dei miei precedenti lavori, abbiamo chiamato molti musicisti che hanno “colorato” gli arrangiamenti in maniera del tutto personale. Quando mi capita di riascoltare “Bellissima Noia”, nel mio piccolo, penso di essere riuscito nell’intento iniziale e sono molto contento del risultato finale».
Attualmente il tuo percorso non ha sfruttato particolari scorciatoie, e sei andato alla conquista del tuo pubblico quasi in maniera… artigianale, cioè un passettino alla volta. E’ stata una scelta? Un’esigenza? Un obbligo?
«Principalmente una scelta, credo che una carriera si debba costruire dal basso, un passo alla volta, non amo le scorciatoie, specialmente quando ti evitano di godere di un bel paesaggio! Magari impiegherai il doppio o il triplo del tempo, ma sarà sicuramente più appagante e gratificante, sarai cresciuto moltissimo come artista perché ti sarai trovato a suonare davanti a due persone o in condizioni tecniche ai limiti dell’umano, chi ti segue sarà cresciuto con te, quindi è probabile che si instauri un rapporto di empatia, farai così tanti chilometri, visiterai così tante città e incontrerai così tante persone che avrai sempre qualcosa da raccontare, da dire e da scrivere. E, soprattutto, avrai fatto tutto senza compromessi artistici e, giuro, non si tratta di una questione morale, semplicemente è bello fare quello che ti piace, come ti piace».
In una recente intervista hai detto che attorno a te vedi soltanto “calcio & malessere”. Credi sia un problema italiano? Era una critica alla tua generazione?
«Premetto che non ho nulla contro il calcio, anzi lo seguo pure e, anche se non sembra, in passato ci giocavo (molto male) di tanto in tanto. Quello che intendevo dire è che mi sembra l’unica costante di questo Paese, cioè l’unica attività ricreativa che abbia una sua continuità di appassionati fidelizzati. Quella mia è molto spesso la generazione del mordi e fuggi, dove si tende ad approfondire poco e a lasciare che gli altri decidano per noi, nonostante si abbia la continua sensazione di essere noi a contribuire e a scegliere; passivamente ci induce ad una sorta di malessere che non siamo del tutto in grado di capire o definire. Siamo bombardati continuamente da notizie, da parole e da immagini e la mia impressione è che non abbiamo più il tempo di annoiarci, di pensare un po’ a cosa ci sta succedendo. Per esempio, scrollare lo smartphone in cerca di qualcosa di interessante non è noia ma apatia».
Che rapporto hai con la tua terra e quanto ti ispira?
«Ho un ottimo rapporto con la mia terra, amo tornare a casa e credo che non riuscirei a racimolare le idee senza tornarci un po’. Il disco non a caso l’ho concepito e registrato in Sicilia».
Sempre in una tua recente intervista hai fatto quasi un elogio della noia. Pensi che andrebbe rivalutata?
«Come accennavo in precedenza, la noia non va scambiata con l’apatia. Per quanto mi riguarda i momenti di noia sono fondamentali per racimolare le idee, sono momenti in cui la mente ha la possibilità di evadere in maniera inconscia e a volte il risultato può essere la nascita di un’idea. Stare in un posto noioso, dove c’è poco da fare, è piacevole per quanto mi riguarda e molto spesso mi porta a fare qualcosa di buono o addirittura di bello. Per scrivere questo disco sono tornato nel mio paesino di provincia anche per questo motivo».
Che opinione hai dei Talent?
«Sinceramente penso che non abbiano portato nulla alla musica, ma sicuramente hanno tolto delle possibilità discografiche agli emergenti, questo perché le case discografiche tendono ad investire sul momento. Credo che la musica non debba avere nulla a che fare con gare, pubblicità, e dibattiti televisivi, preferisco una strada più impervia, ma personale, dove la musica è la protagonista e non un piccolo contenuto dentro un contenitore generalista. In conclusione penso che sia il format ad avere dei grossi deficit, se i Talent fossero incentrati più sulla musica e la qualità della proposta, potrebbero diventare un mezzo utilissimo, sia per la ripresa economica di un settore in continua crisi, sia per le possibilità artistiche che ne scaturirebbero».